Mamme che discutono con pazienti mister dai capelli grigi sul perchè il proprio figlio non è stato schierato sulla fascia sinistra ma nell’oscuro ruolo di centrale difensivo. Padri che cronometrano di nascosto i 25 metri delfino dell’erede perchè dell’orologio appeso in piscina non si fidano. Genitori che nottetempo studiano su Internet il regolamento sui punteggi da attribuire ad una trave perfettamente eseguita dalle loro mini ginnaste.
Non sono casi rari: con qualche esagerazione, sono i genitori di questi tempi di bambini normodotati di 5, 6, 7, 8 anni a dir tanto. Bambini che vengono portati con assiduità a frequentare corsi di nuoto, scuole calcio, stage di danza, lezioni di judo, perchè “fa bene al corpo e al carattere”, ci diciamo nell’attimo della prima iscrizione, credendoci davvero.
Giusto, giustissimo. Il problema però è che, oggi in età molto più precoce di un tempo, i bambini finiscono in una spirale di competizioni a catena– che vorrebbero essere coinvolgenti e giocose per chi vi partecipa – ma che invece finiscono per diventare fonte di ansia e di aspettative per frotte di genitori amorevoli e perbene che mai si sarebbero immaginati di ritrovarsi appiccicati alla rete di un campetto di periferia a discettare con i genitori altrettanto amorevoli e perbene dei bimbi della squadra avversaria su quale criterio sia mai stato adottato in questo torneo di calcetto perché “si vede benissimo, mi scusi, che nella vostra squadra non ci sono solo 2003-2004, quello lì alto e biondo è almeno un 2002, mentre da noi gioca perfino un 2005, e dunque chiaro che poi i vostri segnano tre gol..”.
Con questo corposo preambolo vi dò il benvenuto al nuovo appuntamento con la rubrica “In..Forma”.
Come ben sappiamo, tutti i bambini giocano. In molti lo fanno in modo organizzato iscrivendosi a scuole calcio, squadre di pallacanestro o pallavolo, palestre, arti marziali etc..
Ma, anche se organizzato, lo sport è e deve restare un gioco. Questo i bambini lo sanno benissimo: loro vogliono solo correre dietro ad un pallone, fare capriole, piroette, salti: insomma vogliono giocare e divertirsi con i loro amici. La sconfitta per loro non è un dramma e se fossero colpiti da un po’ di tristezza, per far tornare un sorriso, basterebbe l’invito di un amico a giocare ancora un pò.
L’estremizzazione degli eventi e dei sentimenti è causata dagli adulti che involontariamente scaricano sui piccoli atleti le proprie aspettative e rivincite e trattano il loro gioco come fosse un vero e proprio sport professionistico. E allora capita, andando in giro per i campi di calcio della nostra provincia, di vedere tecnici che si infuriano con i bambini, che urlano quello che debbono fare, addirittura specificando se quella palla deve essere stoppata oppure calciata piuttosto che passata; genitori che dispensano consigli ai propri figli, che rimproverano l’arbitro se non ha visto un fallo di mano, che magari si prendono a parole con altri genitori, arrivando addirittura ad esultare per un goal della squadra in cui gioca il proprio figlio, come farebbero se stessero a vedere una partita di Champions League. Altri che si rivolgono al mister di turno per consigliargli aggiustamenti tattici o cambi di ruolo: il tutto perché l’importante è fare goal e vincere!
Tutti costoro dimenticano che i bambini in quel momento stanno giocando! Che si vogliono divertire, dare sfogo ai propri sogni e fantasie.
è come se, sempre quell’adulto, si mettesse ad impartire ordini affinchè il bambino che sta giocando a battaglia navale riesca a battere il suo avversario! Che gioco sarebbe? Siamo sicuri che il bambino si divertirebbe?
Noi adulti non ci rendiamo conto che così facendo rubiamo il gioco ai bambini, glielo distruggiamo, perché con i nostri comportamenti (più che con le nostre parole) andiamo a cambiare le regole del loro divertimento. E così la sconfitta diventa un dramma e la vittoria un’ossessione. Con tutto quello che ne consegue: il bambino che ha qualche attitudine come portiere viene relegato tra i pali anche se gli piacerebbe correre dietro al pallone; quello fisicamente più dotato, costretto a fare il difensore; il più bravo, in attacco a fare goal giocando tutta la partita e i meno dotati relegati in panchina ad aspettare di giocare qualche minuto; il pallone non va giocato ma “buttato su” sperando che il più bravo che si aggira in zona di attacco riesca ad intercettarlo e a buttarlo dentro la porta avversaria.
Ma così facendo il calcio e lo sport in genere non è più un gioco per i bambini, ma un giocattolo per gli adulti.
Lascio per la riflessione di tutti una lettera scritta da un bambino che ho scovato su internet e che richiama gli adulti a fare un bel passo indietro, lasciando che siano i bambini ad essere i protagonisti del loro gioco.
Lettera di un bambino al papà ultrà che lo vuole campione
Lo sai, papà, che quasi mi mettevo a piangere dalla rabbia quando ti sei arrampicato sulla rete di recinzione urlando contro l’arbitro? Io non ti avevo mai visto così arrabbiato. Forse sarà anche vero che l’arbitro aveva sbagliato, ma quante volte io ho fatto degli errori senza che tu mi dicessi niente? Anche se abbiamo perso la partita per colpa dell’arbitro, come tu dici, mi sono divertito lo stesso.
Ho ancora molte gare da giocare e sono sicuro che, se non griderai più, l’arbitro sbaglierà molto meno. Papà, capisci, io voglio solo giocare. Ti prego, lasciamela questa gioia, non darmi suggerimenti che mi fanno solo innervosire: tira, passa, buttalo giù. Se buttassero giù me, quante parolacce diresti? un’altra cosa: quando il mister mi sostituisce o non mi fa giocare, non arrabbiarti, io mi diverto ugualmente, anche seduto in panchina. Siamo in tanti ed è giusto che giochino tutti. E poi, quante parolacce, urla ed imprecazioni si sentono in campo mentre si gioca: non solo da te, ma anche da altri genitori. Non si agisce così, a me hanno detto che le brutte parole non salgono in cielo perché non trovano posto, là stanno solo gli angeli.
E scusami, papà, non dire alla mamma, di ritorno dalla partita: “ha vinto ed indossa la maglia numero dieci“. Dille che mi sono divertito tanto e basta.
Non raccontare che ho fatto un gol bellissimo, non è vero. Ho messo il pallone dentro la porta perché un mio compagno mi ha fatto un bel passaggio e tutti insieme abbiamo lottato per vincere. E poi che tormento dalla televisione ho capito che quel numero è una leggenda: tutti i “grandi” l’hanno indossato: Sivori, Rivera, Platini; Maradona, Ronaldo, Baggio, Del Piero. Ma loro sono nati artisti con dei cervelli carichi di idee, con la fantasia come la pittura di Van Gogh o la musica di Beethoven. E qui mi viene da ridere, papà, perché io non conosco la musica e sono pure stonato. E allora?
Ascoltami, papà, non venire nello spogliatoio al termine della partita per vedere se faccio bene la doccia o se so vestirmi. Che importanza ha se metto la maglietta storta? Devo imparare da solo. Stai sicuro che diventerò grande e sarò bravo a scuola, anche se avrò la maglietta rovesciata. E lascia portare a me il borsone. Guarda, c’è stampato il nome della squadra e mi fa piacere far vedere a tutti che gioco a pallone. E sai, non volevo dirtelo perché sono ancora piccolo, ma a scuola le fidanzatine sono in aumento. Non prendertela, papà, se ti ho detto queste cose. Lo sai che ti voglio bene, ma adesso è già tardi, devo correre all’allenamento. Se arrivo in ritardo il mister non mi farà giocare. Anche se ho capito che non sarò mai un campionissimo. A me piace allenarmi e giocare la partita. Sono sereno e felice quando corro nel campo, mi sento libero, libero come il vento e l’acqua che scorre!
Arrivederci al prossimo appuntamento con la nostra rubrica! Restate IN…FORMA! Sempre!!!
BIBLIOGRAFIA
https://mazzaravincenzo.wordpress.com/2014/12/06/i-figli-lo-sport-e-noi-genitori-ultras/
http://www.donboscoalsud.it/news/745/i-figli-lo-sport-e-genitori-ultras.aspx