La rubrica “Rinascita donna” dedica il mese di febbraio al bullismo e al cyberbullismo, temi molto dibattuti nelle aule scolastiche ma molto spesso affrontati anche nei luoghi di istruzione informale, come le parrocchie e i centri di aggregazione sociale e sportivi, temi che coinvolgono famiglie e genitori, insegnanti e dirigenti scolastici, educatori ed istruttori. Come sempre, andiamo per ordine.
Cosa è, innanzitutto, il bullismo? La prima definizione di bullismo si deve allo psicologo Dan Olweus che, sulla base di studi e ricerche in merito ad atteggiamenti aggressivi tra gli studenti, nel 1978 lo descrisse come “un comportamento antisociale, caratterizzato da mancanza di empatia e da uno scarso rispetto per le norme sociali”. Oggi viene meglio definito come il reiterarsi di comportamenti e atteggiamenti diretti o indiretti volti a prevaricare un altro con l’intenzione di nuocere, attraverso l’uso della forza fisica o della prevaricazione psicologica.
Cosa è, invece, il cyberbullismo? Il cyberbullismo è una delle forme assunte dal bullismo. La sua evoluzione è legata all’avanzamento delle nuove tecnologie e viene perciò perpetrato attraverso i moderni mezzi di comunicazione. Il termine fu coniato da Bill Belsey nel 2002. Tuttavia, la multidisciplinarietà e l’ampiezza del fenomeno non permettono alla letteratura scientifica sull’argomento di raggiungere una definizione condivisa. Infatti, Smith2 e collaboratori, sulla base della definizione tradizionale di bullismo, definiscono il cyberbullismo come “quella forma di prevaricazione volontaria e ripetuta nel tempo, attuata mediante uno strumento elettronico, perpetuata contro un singolo o un gruppo con l’obiettivo di ferire e mettere a disagio la vittima di tale comportamento, che non riesce a difendersi”.
Il contesto sociale. Quella attuale è la prima generazione cresciuta in una società nella quale internet è parte integrante della vita quotidiana. Nati a partire dagli anni 2000 sono da sempre abituati all’istantaneità degli ipertesti ( insieme non lineare di documenti con informazioni di varia natura – testi, immagini, brani musicali, filmati – collegati l’uno all’altro per mezzo di connessioni logiche e rimandi – link – che consentono all’utente di costruirsi di volta in volta un autonomo percorso di lettura) e a una connettività illimitata, attraverso cui comunicano instaurando relazioni senza alcun confine spazio-temporale. Cresciuti in un’epoca dominata dalle nuove tecnologie (ICTs), tra computer, telefoni cellulari e smartphone, videogames e social network, i giovani contemporanei sono i protagonisti di uno scenario che li definisce i “Nativi digitali”.
Chi sono i soggetti coinvolti? Il cyberbullismo coinvolge bambini e adolescenti sia come vittime che come perpetratori in attività violente, pericolose e minacciose nel cyberspazio.
Il cyberspazio è l’elemento che contraddistingue il cyberbullismo dal bullismo tradizionale: mentre in quest’ultimo il bullo si confronta faccia a faccia con la vittima, la natura virtuale del cyberspazio rinforza il danno provocato dal soggetto prevaricante (il cyberbullo) sulla vittima; il cyberbullo, infatti, può nascondersi dietro uno schermo, umiliare la vittima e divulgare materiale offensivo ad un vasto pubblico e in modo anonimo, senza la paura di essere scoperto e punito (o almeno è quello che crede!).
Oltre al persecutore e alla vittima, nel cyberbullismo, così come nel bullismo tradizionale, esistono gli “spettatori”( bystanders) che osservano il fenomeno ma non intervengono a favore della vittima ma piuttosto, condividendo video o foto sui social network, non fanno altro che alimentare la pericolosità delle azioni dando vita a un vero e proprio processo di vittimizzazione. Infine, mentre il bullismo tradizionale è un fenomeno circoscritto a determinati momenti della giornata, come ad esempio l’orario scolastico, nel cyberbullismo le aggressioni continuano sempre, in una dimensione temporale potenzialmente illimitata.
Come riconoscere il cyberbullismo. Qui di seguito verranno spiegati e descritti alcuni elementi fondamentali, utili a genitori, insegnanti, educatori ma anche e soprattutto a chi crede di essere la vittima e/o il carnefice di una simile violenza, molto spesso confusa con un “certo modo di scherzare” definito molesto e violento.
Il bullismo elettronico è caratterizzato dalla: 1) volontarietà di compiere una violenza; 2) ripetizione degli atteggiamenti prevaricatori; 3) esistenza di un danno inflitto; 4) presenza necessaria di dispositivi elettronici.
Il cyberbullismo, inoltre, si avvale di diversi strumenti, quali l’invio di sms e/o mms (foto/video), l’invio e la ricezione di chiamate in cui l’aggressore intimidisce la vittima con minacce e insulti, l’invio di e-mail con contenuti violenti e diffamatori, l’invio di messaggi di insulti, minacce ed offese tramite chat o sistemi di comunicazione istantanea (come MSN, Yahoo, Skype etc.) e, infine, la rivelazione di informazioni personali o la divulgazione di immagini e video compromettenti (per la vittima) attraverso siti internet(web sites).
C’è chi ha classificato il bullismo elettronico considerando i tipi di azione e di comportamento attuati dal cyberbullo. Vediamoli meglio nel dettaglio.
1)Flaming: messaggi violenti e volgari che mirano a suscitare contrasti e battaglie verbali nei forum;
2)Harassment (Molestie): l’invio ripetuto di messaggi offensivi e sgradevoli;
3)Denigration (Denigrazione): insultare o diffamare qualcuno online attraverso dicerie, pettegolezzi e menzogne, solitamente di tipo offensivo e crudele, volte a danneggiare la reputazione di una persona e i suoi rapporti;
4)Impersonation (furto d’identità): in questo caso l’aggressore ottiene le informazioni personali e i dati di accesso (nick, password, ecc.) di un account della vittima, con lo scopo di prenderne possesso e danneggiarne la reputazione;
5)Outing and Trickering: diffondere online i segreti di qualcuno, informazioni scomode o immagini personali; spingere una persona, attraverso l’inganno, a rivelare informazioni imbarazzanti e riservate per renderle poi pubbliche in rete;
6)Exclusion (Esclusione): escludere intenzionalmente qualcuno/a da un gruppo online (chat, liste di amici, forum tematici, ecc.);
7)Cyberstalking: invio ripetuto di messaggi intimidatori contenenti minacce e offese.
8)Happy slapping (letteralmente “schiaffo allegro”): consiste in una registrazione video durante la quale la vittima è ripresa mentre subisce diverse forme di violenza, sia psichiche che fisiche per ridicolizzare, umiliare e svilire la vittima. Le registrazioni vengono effettuate all’insaputa della vittima e le immagini vengono poi pubblicate su internet e visualizzate da altri utenti.
A chi affidiamo i nostri ragazzi? Famiglia e scuola, insieme.
Bisogna premettere che le vittime di cyberbullismo difficilmente raccontano della violenza per paura di subire ritorsioni peggiori da parte dell’aggressore o per paura di essere etichettati come “pappe molli” dai compagni o per paura di non avere la giusta comprensione da parte di genitori e insegnati. Questo a dire che davanti ad un fenomeno dilagante e quotidiano come questo è necessario che intervenga la società e tutte le istituzioni. Quando non è il ragazzo a denunciare il carnefice si rende necessaria la collaborazione delle istituzioni, prima fra tutte la famiglia, quindi i genitori. Il compito dei genitori è senza dubbio quello di osservare i propri figli nelle dinamiche relazionali, dentro e fuori le mura domestiche, fare caso a comportamenti strani, atteggiamenti aggressivi e di chiusura. Compito dei genitori è, inoltre, quello di instaurare un clima comunicativo coi propri figli, dedicare momenti di dialogo e di condivisione delle esperienze quotidiane, ritagliarsi momenti di scambio di informazione su tematiche delicate come questa.
Quando non è un genitore ad accorgersi di tutto ciò deve intervenire la seconda e più importante istituzione, la scuola, nelle figure dei discenti e dei docenti. Un buon compagno di classe è prima di tutto il compagno di un percorso di vita da condividere, nel bene e nel male, è colui che aiuta l’altro ad uscire da una situazione di pericolo come la violenza agita da un bullo e/o da un cyber bullo, è colui che ascolta e sostiene la vittima nelle scelte come quella di confidare tutto ai propri insegnati. Dopo il genitore, infatti, l’insegnante è il secondo adulto con cui un ragazzo instaura un rapporto di fiducia. Come e cosa deve fare un insegnante per non tradire questa fiducia? Un insegnate attento a certe problematiche sensibilizza la classe al tema, dà informazioni ai ragazzi ma anche ai genitori (attraverso attività extra) su quelli che sono i rischi dell’abusante e dell’abusato, sul rischio di natura legale che un ragazzo potrebbe correre nel fare delle cose che lui ritiene essere solo degli scherzi o un modo per mettersi in mostra ma che in realtà sono dei veri e propri reati. Ed ancora, l’insegnante ha il compito di osservare i comportamenti durante le ore scolastiche, ascoltare chi ha bisogno di condividere un problema e segnalarne il caso a chi di competenza (Servizio psicologico o all’assistente sociale della scuola). In molti casi la scuola in generale o gli insegnanti si sentono impotenti o addirittura non ritengono sia compito loro occuparsi o preoccuparsi di questo problema dal momento che colpisce i ragazzi quando usano la rete o i cellulari. Questo non corrisponde a realtà.
Gli insegnanti sono degli incaricati di pubblico servizio, sono tenuti a denunciare alla polizia giudiziaria o al pubblico ministero la notizia6 l’esistenza, secondo gli elementi nella loro disponibilità, di un reato perseguibile d’ufficio del quale siano venuti a conoscenza nell’esercizio delle loro funzioni. La condotta omissiva costituisce fattispecie di reato. Sempre gli insegnanti sono investiti di un particolare ruolo che viene definito “posizione di garanzia” e che impone una serie di attività di intervento affinché i soggetti “deboli” a loro affidati, cioè gli alunni, durante lo svolgimento dell’attività scolastica o parascolastica, non siano messi in una situazione di pericolo dalla quale possano derivare situazioni dannose: “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.
In conclusione. Nell’affrontare il problema del cyberbullismo, costituisce elemento chiave il riconoscimento della necessità di una azione di prevenzione congiunta fra scuole, famiglie e comunità. Un intervento preventivo aiuterebbe i giovani a sviluppare atteggiamenti e comportamenti pro-sociali, a costruire e mantenere relazioni sane sia dentro sia fuori le mura scolastiche e domestiche, a creare un sano e pacifico clima scolastico ed incoraggiare la relazione di aiuto tra ragazzi in difficoltà. È importante per le scuole promuovere un ambiente scolastico in cui tutti gli studenti si sentano compresi e in cui le denunce di repressione. Ecco perché è bene e speranzoso che le scuole si attivino per garantire un servizio di accoglienza ed ascolto rivolto a tutti quegli studenti che hanno bisogno e necessità di denunciare tali abusi.