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21 Novembre 2024
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Psicologia

Alleanza terapeutica: lo strano caso del paziente inconsapevole

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Ultimamente riflettevo su alcuni casi di cui mi sono occupata nella mia attività privata.
Allo studio spesso si presentano, o mi chiamano persone che non sono poi i miei veri pazienti…
Vi chiederete: ”Ma la dottoressa di che sta parlando?” Mi spiego… mi chiama una signora che mi dice: ”Dottoressa la prego dovrebbe darmi un appuntamento per mio figlio…”

Si presenta un signore che mi racconta la storia di sua moglie, che conoscerò alla prossima seduta…
Viene una ragazza che mi confida che l’appuntamento preso è per il fidanzato, che da qualche tempo è strano e che lei vorrebbe io incontrassi…
Tutto questo crea in me tante riflessioni. Da una parte penso a quanto amore debba spingere queste persone a venire a chiedere aiuto per i propri cari. Dall’altra rimango perplessa di fronte alla possibilità di intraprendere un percorso psicoterapeutico con una persona (figlio, moglie o fidanzato che sia) che non sa ancora di essere mio paziente.

La psicoterapia muove le sue basi da un concetto fondamentale: ”Il paziente deve recarsi consapevolmente dal terapeuta”. Non deve essere mandato o portato da qualcun altro magari con l’inganno, anche se lo si fa a fin di bene. Ci si potrà chiedere il perché. La risposta è molto semplice.

Il paziente deve sapere di aver bisogno di aiuto, altrimenti non riconoscerà la necessità di riceverlo e probabilmente, quando verrà messo al corrente dell’appuntamento preso con me dal parente, non si vorrà neanche presentare.
Ed ecco che, se la persona decide di presentarsi, l’incontro viene minato fin da prima che cominci. Il paziente probabilmente sarà sospettoso perché sa che qualcuno mi ha raccontato qualcosa di lui/lei, qualcosa di molto personale, qualcosa che non si racconta a tutti, che si nasconde. Il paziente può pensare che io mi sia già fatta un’idea del suo problema, pensiero errato ma legittimo, o peggio, che lo sto giudicando per quello che mi è stato detto in sua assenza. Tutto ciò rende molto difficile stabilire la cosiddetta “Alleanza Terapeutica”, cioè la possibilità di fidarsi del proprio terapeuta.

Il concetto di “Alleanza Terapeutica” è uno dei più importanti in psicologia. Per spiegarlo meglio occorre fare un esempio: se andiamo dal medico, lui ci darà una cura , e noi che ci fidiamo di lui e della sua competenza la seguiremo. In questo caso noi seguiamo passivamente le indicazioni del nostro dottore.

In psicoterapia l’alleanza sta a significare che il paziente e il terapeuta collaborano insieme al fine di risolvere le problematiche del primo. Il paziente in questo caso non è passivo, anzi è attivo. Si dice infatti che il terapeuta lo accompagna nel percorso di guarigione. I due soggetti sono in accordo sugli obiettivi del cambiamento, sui compiti necessari per raggiungere tali obiettivi e instaurano, tra loro, un legame utile alla collaborazione nel “lavoro” terapeutico. Il terapeuta dalla sua parte, deve provare sentimenti genuini nei confronti del suo paziente, deve mostrare “partecipazione emotiva” utile a far sì che si crei questo legame.

La terapia è sempre bidirezionale, ma ci vuole tempo e disposizione alla collaborazione. Nel pensiero comune ci si reca dallo psicologo in attesa di magie o rimedi che hanno del miracoloso per risolvere le problematiche più varie. Ma, mi dispiace deludervi, il percorso di studi non ci ha dotato di bacchetta magica. Chi viene da noi deve lavorare con noi, o, meglio ancora, noi supportiamo il lavoro dei nostri pazienti.
Adesso capirete perché è molto importante che il paziente venga, non solo consapevole delle sue difficoltà, ma anche disposto ad intraprendere un percorso tortuoso e in salita, di cui sarà lui il protagonista e non noi, che saremo al massimo degli accompagnatori premurosi.

Ecco, ancora oggi, mentre sto ultimando queste righe, ricevo la telefonata di una donna che mi vuole portare il figlio…anche dicendogli che la terapia è per lei. C’è da confondersi, che ruolo avrà la signora? Sarà mia paziente o una coterapeuta. Signori, non funziona così, e adesso sapete anche il perché.

Vi aspetto puntuali al prossimo articolo.

Dottoressa Arianna Pedone

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