Si terrà a Lucera in piazza Oberdan nella corte di palazzo D’Auria Secondo alle ore 10,30 un convegno dal titolo LE CATENE SPEZZATE – LAVORO E LIBERTA’ IN GIUSEPPE DI VITTORIO a cura dell’ ANPI e della CGIL di Capitanata.
L’incontro coordinato da Giuseppe Trincucci vedrà gli interventi di Pino Gesmundo, segretario regionale per la Puglia della CGIL e dell’on. Ferdinando Pappalardo vicepresidente nazionale dell’ANPI. Porgeranno i loro saluti il sindaco di Lucera Giuseppe Pitta e le altre autorità. Nell’occasione sarà scoperta una lapide ricordo dell’ avvenimento.
27 MAGGIO 19921
PRIMO COMIZIO DI GIUSEPPE DI VITTORIO DOPO LA SUA LIBERAZIONE DAL CARCERE DI LUCERA
Giuseppe TRINCUCCI
“Ragazzo bracciante semianalfabeta, figlio di braccianti analfabeti, vivente in una società di analfabeti”, così di sé stesso diceva icasticamente Giuseppe Di Vittorio, ricordando i primi anni della sua vita, quando affinò la sua testimonianza nelle lotte contadine e operaie, che lo impegnarono poi per più di mezzo secolo. La sua prima scuola – ricordava sempre Di Vittorio – fu il carcere di Lucera.
Da piccolo quando a nove anni iniziò a lavorare i campi per sostenere la sua famiglia, privata della guida e del sostegno del padre morto prematuramente, e fu costretto ad abbandonare gli studi elementari. Eppure aveva voglia di studiare: ogni tanto sbirciava solo un grosso librone, che aveva preso per pochi soldi in un mercatino di Barletta, un Vocabolario della lingua italiana.
Ma Di Vittorio era evidentemente destinato ad altri traguardi. Negli anni successivi bruciò le tappe: la sua capacità, la sua tenacia, la sua passione civile non sfuggirono ai dirigenti politici del socialismo pugliese, ma soprattutto gli assicurarono la considerazione e la fiducia dei suoi compagni di lotta e delle masse lavoratrici. Fu nominato segretario della Camera del lavoro di Cerignola e capo riconosciuto delle leghe contadine: un punto di riferimento per le prime battaglie sindacali. Girò in lungo e in largo la Puglia per organizzare le lotte contadine e per riassettare in una organizzazione ordinata e determinata le masse proletarie.
Il 1911 fu un anno decisivo per la vita del giovane Di Vittorio. Nell’autunno di quell’anno fu il promotore e l’organizzatore di uno sciopero ad oltranza dei contadini di Cerignola, che lottavano per affermare i loro diritti in tema di salari e di orario di lavoro. Le occhiute forze di polizia videro in lui un pericoloso sovversivo e un temibile capopopolo. La sera stessa Di Vittorio venne arrestato e tradotto nel carcere di Lucera, dove sarà detenuto per tre mesi.
Di questi suo incidente Di Vittorio conservò un ricordo indelebile. Il secondo giorno fu avvicinato dal cappellano del carcere, che fu accolto non senza diffidenza dal giovane rivoluzionario. Il sacerdote gli regalò tre libri con cui riempire i lunghi silenzi di una cella fredda ed angusta: i Promessi sposi di Manzoni, La città del sole di Tommaso Campanella, i Canti di Giacomo Leopardi.
Il giovane Di Vittorio non aveva dimestichezza con lo studio, negato a chi: “non aveva nemmeno i soldi per comprarsi le candele e che la sera sentiva gli occhi che si chiudevano dalla fatica e dal sonno e doveva lottare per tenerli bene aperti e continuare a leggere”. Considerò quindi quella forzata restrizione della libertà un’opportunità da non perdere e si gettò a capofitto nella lettura dei tre libri, che divennero un marchio di cultura faticosamente conquistata.
Di Vittorio venne scarcerato una prima volta e ritornò subito nella mischia della battaglia. Seguirono eventi fondamentali nella vita politica italiana, che lo coinvolsero con forza: la sua presenza nella storia politica e civile dell’intera Puglia fu intensa e molto attiva e ininterrotta.
Nel 1921 il potere fascista diventa quasi universalmente preponderante e afferma con la connivenza e la tolleranza delle forze di polizia arrogante e prevaricatore. Durante uno scontro, Di Vittorio nel corso di una manifestazione di protesta del 15 aprile assieme a circa cento dimostranti venne fermato e poi arrestato e tradotto la sera stessa nel carcere di Lucera, in quello stesso luogo di restrizione dove aveva patito prigione dieci anni prima.
Nelle elezioni politiche del 15 maggio fu candidato come indipendente per il partito socialista. I suoi mentori furono Peppino Di Vagno, poi barbaramente assassinato il 25 settembre 1921 dopo una manifestazione politica a Mola di Bari e Bruno Buozzi punto di riferimento del sindacalismo italiano. Venne eletto deputato al Parlamento con ampio consenso e con i voti della sua città e di quelli delle province di Foggia e di Bari.
La sua elezione seppe dell’eccezionale: ad annunciargli la vittoria fu lo stesso direttore del carcere di Lucera. In questa città, che all’epoca era governata da un’amministrazione socialista, retta da Michele Ferrone, la notizia dell’avvenuta elezione fu accolta invece con grande entusiasmo.
Nel primo pomeriggio del 27 maggio, dopo la proclamazione degli eletti, Di Vittorio lasciò il carcere: i compagni lucerini lo aspettavano all’uscita, lo portarono in trionfo da piazza Tribunali, sfilarono per alcune vie della cittadina, arrivarono a piazza Marotta, un piccolo slargo dove abitualmente si tenevano comizi. Qui su un improvvisato banchetto, introdotto dal vicesindaco l’avvocato Damiani, Di Vittorio tenne il suo primo comizio.
Negli anni successivi la storia personale di Di Vittorio si intersecò con quella più generale della storia italiana con la presa del potere del fascismo, con le leggi fascistissime, i delitti di Di Vagno e di Matteotti, la politica coloniale, la guerra di Spagna, il confino e i processi, l’esilio in Russia e in Francia. Di Vittorio visse attivamente tutto quello che l’antifascismo militante richiedeva.
Nel 1940 viveva con la sua famiglia, semiclandestino in Francia, fu poi inevitabile l’arresto del 10 febbraio del 1941. Dopo essere carcerato in Francia il 20 giugno fu estradato in Italia. Dopo aver peregrinato in Italia fu ristretto nuovamente nel carcere di Lucera, che lo aveva ospitato da giovanissimo attivista e da giovane sindacalista.
Poi fu sottoposto a processo e condannato a cinque anni di confino. Il 24 settembre del 1941 passando per Gaeta fu tradotto a Ventotene, da cui andrà via libero il 22 agosto del 1943.
Il vecchio carcere lucerino aveva segnato profondamente la vita di Di Vittorio: lo aveva fatto diventare, per le diverse occasioni che lo videro ristretto, il maturo combattente, il politico di razza e l’uomo della convinta testimonianza civile.