In questi giorni siamo immersi nei centri commerciali, nei negozi, in televisione e sui giornali in pieno clima di una festa con un’usanza che non ci appartiene: La festa di “Halloween”.
Per i più giovani è un divertimento piacevole, quelli della mia età rimangono per lo più indifferenti, ritenendola una festa prettamente americana.
Noi lucerini siamo ancora legati a quel retaggio molto antico che è “ ’u júrne d’ì murte “, il 2 novembre.
Per noi la festa dei morti è un giorno non di lutto, ma una giornata magica della tradizione popolare in cui le nostre case si riempiono di sapori ed in cui è consuetudine far visita al cimitero, portando in dono fiori e crisantemi e accendendo i lumini alle tombe dei nostri cari, ormai defunti, che in precedenza erano state lustrate alla grande.
Residuo della dimensione ludica d’u júrne d’ì murte sono ‘a cavezette de l’àneme di murte e i cicce cutte.
Secondo un’antica leggenda nella notte fra l’ uno e il due novembre i defunti tornano per visitare i loro cari e rivedere le loro case, sfilando in processione per le vie del paese.
Si fermano a far visita ai propri parenti e a riempire di doni “i cavezette“, che la sera prima i bambini appendono alla finestra o al letto.
In realtà sono i genitori ed i nonni a riempire le calze: una volta con arance, cachi , castagne, melograni, mele, noci, mandorle, vainelle, mandorle, fichi secchi e melacotogne, non disdegnando di aggiungere qualche pezzo di carbone per quei bambini più vivaci degli altri, per far capire loro che i morti li avevano voluti punire per la loro cattiveria.
Oggi, le antiche calze sono state sostituite da quelle confezionate e piene di cioccolatini, pasticcini e giocattoli.
Altro elemento fondamentale della festa dei morti sono ” i cicce cutte “, una ricetta che sembra affondare le sue radici nei secoli, facendola risalire alla cultura saracena o, addirittura, a quella greco-bizantina.
Essi sono preparati con ingredienti molto poveri, legati molto alla loro stagionalitá : grano tenero, melograno, noci secche, cioccolato fondente, vino cotto.
E’ una pietanza molto dolce, che sembra piaccia solo ai Lucerini d’hoc e che, in genere viene apprezzata solo in età adulta.
MODI DI DIRE E PROVERBI LEGATI A ’U JÚRNE D’Ì MURTE
– ÁNEME SANDE, ÀNEME SANDE, IJE SONGHE DA SULE E VÚJE SÌTE TANDE, TRAMÈNTE ME TROVE DÌND ‘A ‘NU MÚNNE DE UÀJE, DE CUMBLEMÈNDE METTÌTEME ASSAJE (è una preghiera che i bambini recitavano la notte di Ognisanti prima di andare a dormire e indirizzata ai propri cari defunti per sollecitare la loro benevolenza nel riempire la calza);
– ‘A CAVEZETTE DE L’ÀNEME D’I MÚRTE, ADDEFRISSCHE‘A L’ÀNEME DE CHI T’EJA MÚRTE (era la preghiera con la quale i bambini ringraziano per la calza ricevuta);
– SE FAJE ‘U MALAMÈNDE L’ ÁNEME D‘I MÚRTE TE METTENE ‘I CAREVÚNE ‘NDA CAVEZETTE (era un avvertimento che i genitori rivolgevano ai figli cattivi);
– PARE ‘A QQUILLE DA NOTTE D’U DÚJE NUUÉMBRE (riferito a chi si presenta in pubblico con un abito strano e ormai superato come quello che indossavano i defunti la notte del due novembre in processione);
– TÉNE ‘A FACCE ‘U DÚJE NUUÉMBRE (riferito ad una persona triste e afflitta).
a cura di Lino Montanaro