Sono un cultore del dialetto di Lucera e autore di libri, tra i quali, uno, il più corposo di 3400 pagine, diviso in tre volumi, dal peso complessivo di 7 kg. , intitolato – “U rataville” (U / ratavill ) –
Attrezzo che tutti erroneamente chiamano rastrello o spazzolone, che comprende: “Antologia”, “Grammatica lucerina” e “Vocabolario” con oltre 40.000 parole.
La suddetta grammatica, alla pari della panacea, di un toccasana, mi ha consentito di dare chiarezza a personaggi storici e far luce alle tante incongruenze etimologiche riportate in tutti i dizionari.
Nelle altre scienze ci sono state grandi rivelazioni. Si sono fatti grandi passi che fanno onore alla cultura, mentre nei tanti dizionari, che dovrebbero essere la culla della letteratura, ristagna il più completo silenzio, accomunati alla mania di trasformare la lingua italiana a una sudditanza del francese, facendole perdere l’identità, inserendo parole straniere, e anticipandone così la scomparsa, poichè è stato dichiarato che la futura lingua Europea sarà (o è) l’inglese.
Gli addetti ai lavori, l’Accademia della Crusca, le Università, i letterari, i ricercatori e gli studiosi di dialetti, superate le difficoltà iniziali di ricerca, hanno l’obbligo di fornire i chiarimenti di tanti termini e locuzioni. Hanno l’obbligo di aprire i vari forzieri, i vari scrigni lasciati dai nostri antenati e mostrare l’oro e i gioielli che contengono e che rappresentano tutto dei nostri avi: il senso di umanità, l’intelligenza, il grande genio inventivo (genio che si presenta spontaneamente nei veri artisti, a volte senza la necessità di un supporto culturale), la spiccata osservazione che rasenta quasi la pignoleria, il calore e il colore nel linguaggio.
La cultura non è una cosa stabile, occorre intraprendere altre strade, occorre uscire dal proprio seminato, occorre rivedere e ripercorrere altre vie dei tanti dialetti d’Italia per scoprire, oltre alle tante novità, che un insegnamento basato su una vera grammatica dialettale apporterebbe una più facile e rapida conoscenza della lingua italiana.
“Tutte amma cambà”, Quadernetto in dialetto di Lucera – Romano Petroianni
Tutti abbiamo il diritto di campare, se poi si aggiunge: come? È la sorte a decidere se in maniera benigna, con agiatezza, da ricchi, o disagiata, da poveri. Il mio intendimento non è fermarmi su queste due particolari ed estreme situazioni, che richiederebbero moltissimi fogli di carta, ma fare l’analisi di ogni parola per illustrare meglio il linguaggio dei nostri antenati lucerini, i quali, di certo, non conoscevano neppure loro le tante regole grammaticali del proprio dialetto.
– “Tutte“, traduzione di “Tutta”, “Tutte, “Tutto”, “Tutti”, nel significato dell’intera gente “seope a stu munne” (s-op / a / stu / munn) “sopra a questo mondo”; i quali trasformano (tutti) la vocale finale in “e” muta –
– “amma“, è la combinazione del riduttivo “abbiamo-a” oppure “dobbiamo-a” dei verbi “avere” e “dovere”, che rappresentano, nella grammatica di Lucera, due dei sei verbi ausiliari; per regola sono seguiti dalla preposizione semplice “a”. La dimostrazione è la seguente:
– “abbiamo-a” in lucerino “abbejame-a” –
– “dobbiamo-a” in lucerino “dubbejame-a” –
Forme rare in uso nel linguaggio lucerino.
– “abbiamo-a” –
in lucerino
– “abbejame-a” (con la tmesi) “abbe-(j)-ame-a” –
– “abbe-(j)-ame-a” > “abbe-ame-a” –
si riduce a
– “ame-a” –
– “dobbiamo-a” –
in lucerino
– “dubbejame-a” (con la tmesi) “dubbe-(j)-ame-a” –
– “dubbe-(j)-ame-a” > “dubbe-ame-a” –
si riduce a
– “ame-a” –
Come si nota, con la tmesi, con la riduzione nei minimi termini, i due verbi lucerini perdono la semiconsonante “j” (decima lettera dell’alfabeto che si inserisce nei binomi di vocali, dittongo o iato, ritenuti la medesima cosa, in uso soprattutto dal Seicento all’Ottocento in Italia e rimasto in molti dialetti), e si riducono entrambi con:
– “ame-a” –
Nel quale binomio la vocale “e” muta (di “ame-a”) ha valore solo per la scrittura, ma si intende eliminata, come di seguito:
– “am-a” –
Da tale ulteriore riduzione si passa alla crasi, alla fusione dei minimi termini, nel seguente modo:
– “am-a” > “amma” –
Con il raddoppio della consonante “mm” (regola lucerina, convalidata anche dalla grammatica d’italiano), come nei seguenti esempi:
– camicia > cammese (camm-s) –
– cameriera > cammareore (cammar-or) –
– comare > cummare (cummar) –
– siamo > semme (s-mm-) –
– “cambà“, traduzione lucerina del verbo “campare”, formato da “campo-are”; del quale, a giusta ragione, nei dizionari d’italiano si specifica che ha valore di “trovare campo dove salvarsi”, nel significato, “cercare un luogo dove poter procurare i mezzi, gli alimenti di sostentamento per vivere. Nel quale verbo si nota la trasformazione della consonante “p” (di “campare”) in “b” (di “Cambà); in più il cambio della desinenza “are” (di “campare”) in “à”, accentata, (di “Cambà); entrambe regole della grammatica di Lucera –
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