I proverbi e i modi di dire lucerini sono tanti. Di solito la loro origine è lontana e frutto di culture passate. Molto spesso hanno alle loro spalle un riferimento ben preciso, ovvero una storia e un significato, che non molti conoscono, dato che si tratta di detti appartenenti alla tradizione, alcuni scomparsi e altri poco in uso. Allora, non è mai troppo tardi per riproporli e questa rubrica offre un’opportunità piacevole, e speriamo interessante, per saperne di più.
“QUÁNNE ‘A CAVEDÁRE VÓLLE, MÌNE SÙBBETE ‘A PÁSTE”
Traduzione: (Quando la pendola bolle, butta subito la pasta )
Significato: “Bisogna saper cogliere il momento opportuno per ogni cosa ”
Curiosità: “La pasta, specialmente nel Mezzogiorno, è stata un alimento importante della dieta. Oggi, la pasta italiana è consumata in tutto il Paese ed è esportata all’estero, ove è considerata un prodotto made in Italy di grandissima qualità. Un tempo, nei negozi di generi alimentari, la pasta (scemmijòtte, spaghètte, bucatíne, cannaruzzètte, regenìlle, tubettèlle, àcene de gráne, àcene de pépe, zite, ecc), era venduta sfusa, nella quantità richiesta dal cliente; ora è venduta solo in confezioni sigillate (di 250, 500, 1000 gr, o multiple di 1 kg). A Lucera si mangiava soprattutto la “Pasta SACCO”, prodotta in loco. Nei negozietti alimentari, prima dell’arrivo dei supermercati, la pasta era conservata in grosse casse di legno oppure in scaffali con ripiani aperti se pasta lunga e in cassetti, con il frontespizio di vetro, se pasta corta. La pasta venduta veniva avvolta in fogli di carta dal caratteristico colore azzurro intenso, detto color “carta di maccheroni”, se si trattava di pasta lunga e in fogli di carta dal color paglia, se si trattava di pasta corta. Tutti i fogli di carta erano riciclati. Quelli azzurri servivano per rilegare libri o avvolgere altro; quelli color paglia, dalla consistenza e caratteristica particolari, servivano per tanti usi. Come carta igienica o impacco da mettere sui bernoccoli, dopo aver inumidito la carta con acqua fresca, o carta assorbente per togliere le macchie di cera dagli abiti, dopo aver messo il foglio sul macchiato e fattovi passare sopra un ferro caldo. Un’efficiente ed efficace forma di riciclo. Negli scaffali e nei cassetti, a mano a mano che la pasta era venduta, restavano frammenti di pasta spezzata di ogni tipo. Poiché a quei tempi lo spreco alimentare non era considerato, la pasta spezzata, chiamata “menuzzagghje”, che manteneva intatta le sue qualità, era venduta a un prezzo più basso. Le nostre mamme che erano brave massaie, preparavano con la pasta “menuzzagghje” la frittata, la pasta a brodo, pasta e fagioli, pasta e patate, pasta e piselli, pasta e ceci, pasta e lenticchie, ecc. Oggi non c’è più la pasta “menuzzagghje”, però c’è la pasta “ammesckáte”, confezioni di pasta mista che molti pastifici hanno messo in commercio per soddisfare la richiesta di chi vuole mantenere in vita ricette tradizionali. Nei negozi alimentari, che erano quasi tutti ubicati nel centro cittadino di Lucera, tra il commerciante e i suoi clienti si stabiliva un rapporto fiduciario. Poiché quasi tutti i clienti avevano problemi economici di liquidità immediata, si acquistava con “signe sóp’u quaderne”; debiti che con dignitosa attenzione venivano pagati quando “ se ssiggèvene i jurnate, ‘a mesáte, u stepéndje o ‘a penzióne.“.
Rubrica di Lino Montanaro & Lino Zicca