Da dove nasca il termine “TARALLE” (tarallo), non si sa con certezza, per cui si sprecano le ipotesi. L’origine della ricetta dei taralli, invece, viene fatta risalire all’abitudine dei fornai, lucerini e non, di utilizzare la pasta di pane avanzata, dopo aver fatto le pagnotte e le pagnottelle, , creando un ulteriore impasto, a mo’ di cordone, che tagliato a pezzi si componeva in anelli da infornare.
Offrire un tarallo accompagnato a del buon vino a Lucera è sempre stato segno di ospitalità, amicizia e di cordialità. Ancora oggi, è impensabile non trovare nelle case di Lucera e dei lucerini di ogni parte del mondo i taralli pronti per essere mangiati e offerti agli ospiti.
I taralle lucerini sono: i scavedatille (taralli lessati prima di essere infornati), i taralle c’a semènde de fenúcchje (taralli impastati con il seme di finocchio), i mbriachille (taralli dolci impastati con il vino bianco), i taralle che l’óve (taralli impastati con l’uovo), i taralle c’u naspre (taralli dolci con su la glassa) e i taralluzze de Sanbejase (i tarallini di San Biagio), i taralluzze de Sandandúne (i tarallini di Sant’Antonio Abate) i taralluzze de Sangíre (i tarallini di San Ciro), che venivano distribuiti in chiesa ai fedeli nelle ricorrenze dei predetti santi e consumati in famiglia per devozione.