Una volta il cucinare era privo della spettacolarizzazione, soprattutto televisiva, tipica dei nostri giorni. La cucina del passato era frutto delle condizioni in cui viveva la società del tempo e delle difficoltà vissute dai ceti popolari e più umili.
I nostri antenati ritenevano il cibo sacro, seguendo il principio del non si butta via nulla. In ogni casa si cucinava quello che le possibilità della famiglia metteva a disposizione. I prodotti e gli ingredienti erano quelli stagionali e locali, da cui era possibile ottenere piatti sostanziosi e dal gusto deciso, anche per la fantasie illimitata delle nostre antenate.
Qual era la “cucina di una volta”? Il “baccalà o fúrne (baccalà al forno con patate, cipolle, pomodoro e origano), “past’e fasúle, past’e cicere, past’e miccúle” (tutte le paste con legumi), “past’e pesílle” (pasta e piselli), “past’e patane (pasta e patate), “laghèn’e fafe” (lagane e fave), “ ‘a menèstre maretate: sckarole e osse de presútte “ (la minestra maritata), “i mulagnane repíne “ (le melanzane ripiene), “i peparúle repíne “ (peperoni ripieni), “u panecútte “ (il pancotto), “ ‘a paste c’a cepolle “ (la pasta con la cipolla), “ fafe scarciofele e pisìlle “ (fave, carciofi e piselli), “ ‘a resckarole a bbróde “ ( la scarola a brodo), “ tannedelasene suffritte p’u pemmedurìlle “ ( minestra di talli soffritti con i pomodorini) “ ‘a curatèlle “ (ricetta a base di interiora di maiale e agnello), “ i sìcce rechjéne o fúrne “ ( le seppie ripiene al forno), “ ‘a ciabbotte “ (minestra a base di peperoni e patate), “ mulagnane a ffungetìlle “ (melanzane tagliate a cubetti con il sughetto) “ i fasúle ch’i codeche “ ( i fagioli con le codiche di maiale) „ píde, rèccchje e mmússe “ (lesso con tre parti del maiale), “ i fríjarille ch’i prunílle “ (piccoli peperoni con il pomodoro), “ ‘a frittate de paste “ (la frittata con la pasta avanzata), “ i checozze longhe che l’óve “ (minestra di zucchine con l’uovo), “ ‘a strazzèlle “ (brodo con le uova strapazzate) e tante altre pietanze.
Erano considerati, prima, piatti poveri, ora sono diventati di tendenza, ora i ristoratori li “presentano” come prelibatezze del luogo, denominandoli anche con nomi fantasiosi, ma che si rifanno ai sapori genuini di una volta, frutto spesso di un lavoro di ricerca, con evidenti tocchi creativi, creando una cucina “povera” di piatti ricercati, ma “ricca” di sapori, il più delle volte incredibilmente buona.
Chi si reca in questi locali lo fa anche per fare un viaggio sul filo della memoria, perché certe ricette aiutano a mantenere vivo il ricordo di altri tempi e di chi con tanto amore ce li preparava, con l’illusione di rivivere la stessa atmosfera. E questo è vero soprattutto per gli emigrati, che pensano a un ritorno all’antica casa.