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18 Ottobre 2024
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Pillole Dialettali, amarcord: U LÍTTE

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U lítte luceríne di una volta non esiste più. Bisogna subito precisare che una volta il letto era un elemento principalmente d’utilità e a volte d’arredo, con forme diverse a secondo delle condizioni socio-economiche delle famiglie.

I popolani abitavano “nd’i suttane“, abitazioni poste al piano terra degli antichi palazzi lucerini, a volte anche sotto il livello stradale, composte di solito di uno o due vani, con l’accesso diretto sulla strada, con una porta a vetri con le tendine (‘a vetríne ch’i pannètte) che serviva d’ingresso e per il passaggio dell’aria e della luce.

Si trattava di abitazioni povere, insalubri, umide e senza luce che avevano una superficie di pochi metri quadrati, ove ci vivevano, il più delle volte, famiglie molto numerose. Abitazioni, quindi, che erano una sorta di dormitorio, ove, spesso, potevano trovare ricovero anche animali.

I loro letti erano formati dalla “spallíre” in ferro battuto, da un supporto che reggeva “i tavóle”, su cui poggiava “u saccone”, un materasso riempito con foglie di granturco o raramente da crini vegetali. Completavano il l letto “i cusscíne”, anch’essi riempiti di foglie di granturco, “i lenzúle” che erano di cotone ruvido e “’a cupèrte”, di lana grezza.

Le famiglie benestanti abitavano, invece, “suprane”, cioè in appartamenti di più stanze, “quartíne”, posti ai piani superiori della strada, ovviamente arredati in modo diverso.

Il loro letto erano formato da due spalliere, sempre in ferro battuto, riccamente lavorato, una per il capezzale, e una più bassa ai piedi, unite da due barre mobili, su cui poggiavano “i tavóle” o, nel recente passato, “i rète”, ove trovavano posto “i matarazze”, uno imbottito di lana di scarsa qualità, oppure riempito con foglie di granturco o crini vegetali, l’altro che stava sopra fatto di lana più soffice. Completavano il l letto “i lenzúle”, che erano generalmente, di lino o di percalle, un cotone con trama più fitta rispetto alla normale tela di cotone, che meglio resisteva re a un uso quotidiano e a numerosi lavaggi, e “’a cupèrte”, di lana riccamente lavorata. Di solito sul letto erano sistemati altri complementi come il capezzale lungo quanto tutta la larghezza del letto e “i cusscíne” riempiti di lana..

In ogni famiglia lucerina c’era la consuetudine, di mettere “‘a púpe sóp’u lítte”, una bambola dal viso di porcellana, bella, truccata, elegantemente vestita sopra le coperte del letto matrimoniale, tra due cuscini e lo sguardo rivolto verso la porta.

La bambola costituiva un vero e proprio simbolo di differenzazione sociale. Ce ne erano alcune che erano dei piccoli gioielli d’arte, molto costose e, pertanto, potevano essere acquistate solo dalle famiglie facoltose , addirittura con il ricambio del vestito per abbinarla al cambio delle coperte. Mentre, la maggioranza delle famiglie si doveva accontentare di bambole meno artistiche che erano regalate a una ragazza che stava per sposarsi, come augurio di un matrimonio ricco di figli, o vinte alla lotteria nelle ferie paesane, o ricevute dal raccoglitore di capelli (u capelláre), in cambio dei capelli raccolti e serviti per il baratto.

Altra consuetudine, comune a tutte le case lucerine, era quella, non appena tutta la famiglia s’ère agavezate, di far prendere aria al letto: si toglievano cuscini, lenzuola e si rovesciavano i materassi. Il letto, e tutta la biancheria, prendevano aria per diverse ore sino a quando si rassettava tutta la casa.

Complessivamente, i letti erano più affollati e promiscui di oggi, visto che una larga parte della popolazione non ne aveva uno tutto per sé,;mentre oggi esso è divento un luogo più intimo, addirittura un rifugio, organizzato in maniera da riflettere la personalità degli abitanti della casa.

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