Lucera è custode di una tradizione dolciaria ereditata dai tanti popoli che l’hanno conquistata e occupata.
Tra questi spicca la copeta (‘a cupéte), termine arabo “qubbayt” che significa “conserva dolce”; un dolce racchiuso fra due ostie con dentro un composto denso e colloso fatto di nocciole tostate o arachidi, farina, uova, miele, zucchero. E negli ultimi decenni, in alcune regioni meridionali, preparato anche con l’aggiunta di cioccolato.
Durante le feste religiose e, particolarmente, in occasione delle Feste Patronali (I Fèste d’Aùste), Lucera era invasa dai venditori di copeta (i cupetare) i quali, con le loro bancarelle, vendevano anche “i nucèlle amerecáne”, “i nucèlle nfurnáte”, “i nóce”, “i castagne” e “ i spassatímbe”.
A Lucera, quando si sente la parola “cupéte” viene subito in mente “u cupetáre” per eccellenza, cioè Ajtanìlle (Gaetano De Mare) che aveva il banco in Piazza Nocelli.
Il binomio Ajtanìlle e ‘a cupéte parte da molto lontano. Il nonno di Ajtanìlle, Gaetano De Mare era un commerciante di Napoli. S’innamorò di una ragazza di Avellino con la quale, dopo il matrimonio, si trasferì a Lucera. La moglie Antonietta proveniva da una famiglia di copetari e il marito lasciò il suo lavoro e s’impegno nel nuovo di cupetare con la moglie, ottenendo ottimi risultati. In seguito, anche il figlio Nicola, con la moglie Clementina seguì le orme del padre e anche suo figlio Ajtanìlle, che aveva preso il nome del nonno. Egli lavorò a gomito a gomito con la moglie Peppenèlla, gestendo per decenni la bancarella (‘a bancarèlle de Ajtanìlle) in Piazza Nocelli.
L’attività fu, ancora, proseguita dalla figlia Silvia e dal figlio Michele, detto Giò, molto conosciuto in paese anche perché calciatore della locale squadra di calcio. Michele, purtroppo, ci ha lasciato un paio di anni fa, ma l’attività familiare è continuata con l’ultimo degli Ajtanìlle, Gaetano De Mare il figlio di Michele, sempre presente in Via IV Novembre, 76 (dove è possibile ordinare tutti i giorni ‘a cupéte“) con la storica frutteria e a Piazza Nocelli, la domenica e le feste comandate.
A Lucera è ancora una tradizione viva quella di fermarsi, durante u strussce, la domenica mattina e nei giorni delle feste patronali, al loro banco per acquistare “i nucèlle amerecáne”, “i nucèlle nfurnáte”, “i nóce” e, soprattuto “ ‘a cupéte”.
Per mangiare quest’ultima, che è venduta a peso e pezzi, ci vuole il martello e il coltello per romperla in pezzi più piccoli che addentati si lasciano ammorbidire un pochino tra lingua e palato. Una delizia per bambini, ragazzi e meno giovani: tranne che per chi ha problemi ai denti.
Sempre a Lucera c’è un modo di dire, un po’ stizzito, usato da chi vede violata la propria privacy da quei curiosi che si soffermano a guardare qualcosa che è successo in strada o in una casa: ”Che, se vénne ‘a cupéte?“.