Capitolo 5
Le paste e la schedina del totocalcio
Era sabato e da poco la sala da biliardo era diventata un luogo di lavoro.
In questo locale, la sera di ogni giorno che precedeva una festività e nei giorni di festa non si poteva giocare. I biliardi, coperti con grandi e bianche tovaglie, erano usati come tavoli su cui disporre le paste appena preparate. Mentre le cassapanche di legno, che coprivano i motori di raffreddamento dei banconi, anch’esse ricoperte, erano usate come appoggio per preparare i vassoi di paste e dolci da consegnare ai clienti.
Quella sera alcuni giovani erano seduti ai tavolini interni mentre altri stavano in piedi nella sala d’ingresso del bar. Gruppetti di altri giovani sostavano fuori. Dietro il bancone si trovava Sandrino per servire qualche cliente e controllare, come al solito, la situazione.
Antonio, Lello, Lino e Pasquale, che erano seduti ai tavolini, parlavano con Gino che era appena rientrato da Milano. Era stato al matrimonio di un suo cugino più grande che risiedeva al Nord.
S’informavano della cerimonia religiosa, del pranzo, di come vestivano i ragazzi e le ragazze del luogo. Soprattutto, cercavano di capire com’era fatta e come funzionava un’autostrada, che non avevano mai visto; chiedevano dell’autostrada Milano-Torino, che Gino aveva percorso qualche volta durante il suo soggiorno milanese, quando all’improvviso andò via la luce.
Subito si sollevò un vociare confuso fatto di parole che si sovrapponevano a rumori, quasi come se tutti volessero segnalare la loro presenza. Alcuni giovani entrarono nel bar, forse per sentirsi più al sicuro.
La luce era andata via anche in piazza; i lampioni erano spenti e fuori tutto era buio e silenzio.
Passati pochi attimi, si sentì la voce di Sandrino dire: “Restate dove siete, così non succederà niente a nessuno. E soprattutto non cercate di entrare nella sala del biliardo per fare razzia di paste”.
Risate e mugugni si levarono contemporaneamente; mentre Mario e don Salvatore, lasciato il laboratorio, avvertivano che si trovavano nella sala dei biliardi.
Dopo poco la luce ritornò e, tra il brusio di voci, i rumori degli spostamenti dei tavolini e delle sedie, anche i motori di raffreddamento dei banconi ripresero a funzionare, dapprima ansimando e poi con il loro rumore ritmato.
Ma al ritorno della luce si presentò un quadro grottesco: sull’uscio delle due porte d’accesso alla sala giochi stavano Mario e don Salvatore mentre vicino ai biliardi c’erano i giovani aiutanti della pasticceria, tutti a guardia delle paste.
Di fronte a quella scena: qualcuno protestò dicendo: ”Non siamo mica ladri di paste”; qualcun altro sorrise; altri ancora non le diedero nessuna importanza.
Però Sandrino, quando suo padre, suo fratello e gli aiutanti ritornarono nel laboratorio, spiegò: “Non ve la dovete prendere. Un’altra volta, quando è andata via la luce, non ci siamo sentiti offesi per qualche pasta sparita, ma per lo scempio che ne era stato fatto di tante altre”.
Lino, Pasquale, Antonio, Gino e Lello, che avevano ascoltato in silenzio, si guardarono e si appartarono confabulando.
Fu a quel punto che Lino disse: “Beh, è giusto che le paste non si rubino, ma è bello se le paste ci sono gentilmente offerte”.
Lello uscì ed entrò nel tabacchino, quello a fianco del bar, per prendere alcune schedine da giocare a totocalcio.
A quei tempi il gioco del Totocalcio, come anche quello del Totip, riguardante le corse dei cavalli, era abbastanza popolare.
Fino a tarda sera del sabato, giovani e meno giovani affollavano i tabacchini per giocare la schedina, sperando di vincere qualcosa e magari fare un tredici che potesse cambiare il corso della loro vita. E ogni tanto il tredici vincente era super milionario.
Le schedine del totocalcio erano suddivise in tre parti: la prima denominata “figlia” con l’elenco delle partite da giocare e sei colonne ove riportare le previsioni di gioco, ovvero i segni 1-2-X (1 per la vittoria della squadra di casa, 2 per la vittoria della squadra ospite e X per il pareggio); la seconda e la terza parte, che si chiamavano rispettivamente “spoglio” e “matrice”, riportavano anch’esse sei colonne. Le previsioni fatte nelle colonne della figlia dovevano essere ricopiate nelle colonne dello spoglio e della matrice. Si dovevano giocare minimo due colonne, ma si potevano giocare anche quattro e sei colonne.
Inoltre, era possibile giocare a “sistema”, ossia facendo due o tre previsioni per alcune partite, quelle per le quali era più difficile prevedere il risultato.
Le schedine compilate venivano consegnate alla ricevitoria del tabacchino. Il ricevitore attaccava nell’apposito spazio un bollo, le divideva, tagliandole con un righello, consegnava al giocatore la parte “figlia”, mentre tratteneva per sé le altre due parti, quella dello “spoglio” e dalla “matrice”, che servivano per i controlli sulle schedine vincenti.
Lello rientrò, si sedette al tavolino e con i suoi amici compose una schedina “sistema” con quattro doppie e due tris.
Antonio raccolse i soldi dagli amici, tirò fuori la sua parte e dopo averli contati, disse: “Mancano duecento lire per il costo del sistema”. Si alzò e continuò: “Il resto, come concordato, vado a chiederlo a Sandrino, proponendogli di diventare socio per un sesto. Sperando che in questa occasione partecipi alla società, così come ha fatto in qualche altra rara occasione”.
Antonio, che era sempre convincente e aveva il merito di non avere molti debiti, si avvicinò a Sandrino e gli disse: “Sandrino, domani sera saremo milionari. Ecco qui la schedina vincente. Il sistema costa milleduecento lire. Noi abbiamo raccolto mille lire e vogliamo che tu diventi nostro socio, contribuendo con duecento lire”.
Sandrino lo guardò perplesso e rispose: “Se non avete soldi sufficienti perché fate il sistema? Piuttosto giocate una schedina normale”.
Di rincalzo Antonio gli obiettò: “La possibilità che noi vinciamo sta proprio nella schedina sistema”. E’ necessario giocare in questo modo perché ci sono alcune partite per le quali è difficilissimo fare pronostici. Dopo tutto, io me la sento che questa sarà una schedina milionaria”.
Sandrino, sorridendo, rispose: “Se è una schedina milionaria allora vale la pena giocarla”.
Prese dal cassetto, dove riponeva i soldi, le duecento lire e le diede ad Antonio. E aggiunse: “Domani pomeriggio, dopo le partite, venite qui e ditemi com’è andata”.
Il pomeriggio del giorno dopo, prima delle 14:30, come tutte le domeniche, a casa di Lello arrivarono Antonio, Lino, Gino e Pasquale, per ascoltare la trasmissione radiofonica “Tutto il calcio minuto per minuto”. La radio era già accesa e sincronizzata sul programma della RAI, quando iniziò a parlare il mitico Sandro Ciotti, con la sua voce rauca e inconfondibile.
I minuti passavano veloci e alla fine della radiocronaca in diretta si conobbero i risultati delle partite di calcio di serie A e B; bisognò aspettare qualche tempo per conoscere i due risultati della serie C, che arrivarono di lì a poco.
La schedina giocata non era vincente.
A quel punto, Lello prese una schedina non giocata e scrisse sulle colonne di sistema i risultati delle partite; poi la divise conservando la prima parte ovvero “la figlia” e buttando nel secchio dell’immondizia il resto. In seguito accese un fuoco della cucina e vi pose sopra un pentolino pieno di acqua e, quando questa iniziò a bollire, vi passò sopra, a debita distanza, la figlia della schedina giocata. Dopo che quest’ultima assorbì vapore, con grande cautela, distaccò il bollo che vi era attaccato e lo incollò sulla schedina riscritta. Aspettò qualche minuto, affinché la schedina falsa si asciugasse, e disse: “Ecco pronta la schedina milionaria”.
Tutti gli altri la osservarono con attenzione e Pasquale disse: “E’ stato fatto un lavoro eccezionale. Nessuno si accorgerà che è una schedina falsa”.
Intorno alle venti, dopo aver accompagnato le ragazze alle proprie case, Antonio e gli altri amici si ritrovarono nel bar De Chiara.
Antonio, con viso raggiante, si avvicinò al bancone e, sventolando la figlia della schedina fasulla sotto gli occhi di Sandrino, dichiarò ad alta voce: “Cosa ti avevo detto ieri sera? Ti avevo detto che questa era una schedina vincente? Ebbene, abbiamo fatto tredici!”.
Prontamente, Lino aggiunse: “Ora bisogna aspettare la “Domenica sportiva” per sapere quanto vincono i tredici. Speriamo che sia un tredici milionario”.
Sandrino, che si era informato in precedenza dei risultati delle partite, con fare ansioso, verificò che i risultati riportati sulla schedina fossero gli stessi che aveva segnato su un foglietto, dopo averlo tirato fuori da un cassetto del bancone.
Quando vide che erano gli stessi, con gli occhi che esprimevano incredulità e gioia nello stesso tempo, disse: “Sì, abbiamo fatto tredici. Io lo sapevo, perciò ho tirato fuori i soldi e sono diventato vostro socio”. E aggiunse: “Non tanto per me, ma per le vostre famiglie, vorrei che il tredici fosse milionario”.
A sentire quella notizia, un vociare confuso s’impadronì del bar. E tutti quelli che ivi si trovavano nel locale iniziarono a chiedere informazioni sulla schedina e sul sistema giocato; alcuni fecero previsioni su quanto quel tredici avrebbe potuto fruttare.
Fu a quel punto che qualcuno interessatamente gridò: “Auguri ai vincitori. Ora per aiutare la sorte è utile festeggiare”.
Antonio prese la palla al balzo e, rivolgendosi a Sandrino, sottolineò: “Mi sembra giusto. Bisogna offrire a tutti i presenti una pasta e un cognacchino, o quello che desiderano bere. Dopo tutto, anche se la vincita non sarà eccessiva, qualcosa dobbiamo pur prendere. Almeno quello necessario per pagare queste consumazioni”.
Un coro di approvazione si diffuse nel bar e Lello, rivolgendosi a Sandrino, aggiunse: “Sandrino, noi siamo tutti minorenni e avremmo difficoltà a riscuotere la vincita. Poiché abbiamo fiducia in te, ti consegniamo la schedina con la quale potrai riscuotere la vincita della Sisal, che dopo divideremo. Pertanto, mi sembra giusto che ora si festeggi con tutti quelli che stanno qua”.
Sandrino prese la schedina e la conservò nel solito cassetto; dopo iniziò a offrire paste e liquore a tutti i presenti.
Dalle notizie della “Domenica Sportiva” si seppe che il tredici di quella settimana faceva vincere 936.000 lire. Non era un tredici milionario ma si trattava, comunque, di una bella vincita.
Sandrino calcolò che a testa sarebbero venute 156.000 lire. “Una bella cifretta per dei giovanotti squattrinati”: così disse.
Difatti era vero: a quei tempi quell’importo corrispondeva a tre stipendi circa di un professore di scuole medie.
Alcuni giorni dopo, Sandrino, mentre Antonio, Lello e Lino entravano nel bar, li apostrofò con il termine di truffatori. Disse proprio: “Ecco, sta arrivando la banda dei truffatori”.
Antonio, senza scomporsi, gli rispose: “Devi sapere che la schedina che abbiamo giocato è stata persa. Perciò ne abbiamo riprodotta una falsa. Dopo tutto anche noi siamo rimasti delusi dalla mancata vincita”.
Sandrino, facendo buon viso a cattivo gioco, concluse: “Speriamo che la prossima volta vinciamo per davvero. Altrimenti, le paste per festeggiare vi saranno indigeste”.
I PASTE E ‘A SCHEDÍNE D’A SISÀLLE
Come ogni sabato, nella sala biliardo del Bar De Chiara non si poteva giocare perché tutti i tavoli erano coperti da grosse tovaglie bianche su cui erano accuratamente disposte le paste fresche. Alcuni giovani erano seduti ai tavolini ed altri erano in piedi nella sala d’ingresso; altri ancora, vista la gran calca, sostavano davanti al bar. Dal bancone Sandrino serviva i clienti e teneva d’occhio gli avventori.
PASQUALE: Uèh!…, Gino, si’ státe a Meláne?
GINO: Sì, síme júte o’ spusalizije de fràteme cucíne, u melanése… Cì-cì!, Meláne éje tutte
n’atu munne! E’ fèsse e quanda éje!
LINO: Accunde, accu’! cum’è júte? Stèvene i fegghijóle?
GINO: Doppe d’a mèsse, n’da na cchisa peccenènne, pe jì o’ ristorande àmm’avúta pegghijà
l’autostráde.
LINO: N’deméne?!?
SANDRINO: Ma cume sonne l’autostrade? so’ cum’e i stráde nostre?
GINO: No Sandrí, so’ tutte n’ata cóse! Príme de tutte stanne dóje stráde pe jì e dóje pe turnà e
ogn’e vúne de ‘sti stráde éje quand’e ‘a via nóve pe Fogge….
LELLO: Ma u spusalizije cum’è júte? Te si’ devertúte ?
GINO Sì!, ma allà nen éje cum’e da núje… andò se magne a dóje ganasce!… ‘A robbe da
maggnà ére póche e n’ge stèvene manghe i musecande… ‘Mbacc’e’ sètte ce n’amma avúta jì pe
desperazióne pecché ére già fenúte tutte cóse…
ANTONIO: Ma i uagliúne cume se vèstene? Fanne tulètte cum’e nnúje?
GINO: I mascule tenèvene cèrte cammíse tutt’a ffiúre, i giacchètte a ttrè bbettúne e i cavezúne
a zambe d’èlèfànde, larghe larghe sotte.
LINO: Cum’e quille de Celendáne? che se vèdene n’da tèlèvesióne?
GINO: Propete accussì!
PASQUALE: E i fèmmene… i fèmmene… so’ bbóne?
GINO: Bbèlle e bbone!!!… e’ penzà che m’aggeráve ‘a cápe a guardà tutte quilli bbèlli
figghijóle… M’avéta créde:… tutte pe ‘sti minigonne attelláte… L’ùcchije míje facèvene …
schernuzze-schernuzze… E po’ tenèvene certi zatterúne… p’i tacche quand’e ogge-e-cráje…
Tenéte prèsènde a Catèrína Casèlli!? ‘A fíne ‘u munne!
SANDRINO: Ècche!… pe vúje s’aèsce sèmbe a sckife!… máje ‘na vóte che se pote fa’ nu
trascurze sèrije… Ma che cápa glorióse che tenéte!
LELLO: Sandrí, quille Ggíne s’è ‘ddecriáte sckitte a guardà…, e’ sendúte? Che nn’u sáje che
quille éje impotènde?
Risate generali
SANDRINO: Chèsso’?!?…
… All’improviso va via la corrente elettrica…
SANDRINO: Madò!…, n’àta vóte!… E che Sande Ninde éje! Ma se póte cambà a ‘sta
manére?!?… Vúne… dúje e ttrè… e se léve ‘a currènde!… Me face fa’ tutte sudáte!
LINO: Di’ ‘a veretà,… manghe ‘stu mése avéte pagáte ‘a bullette d’a lúce!?!
SANDRINO: Giuvenò!, quala bbullètte t’à fatt’a ttè! So’ ttrè anne che díce sèmbe u stèsse
fatte. Àmme capíte… mò l’è pegghijáte a canzóne!
PASQUALE: Sandrí…, púre ammizze o’ Larghe… se n’è júte ‘a currènde!!!… ‘Usì!, l’ànne
ditte quille che so’ trasíte mò!…
SANDRINO: Vuléve díce íje! Uèh!… rumanéte andò stéte… nen ve muuvíte, … éje na cóse
da ninde… Nen facíme mujíne cum’e ‘a passáte! Avaste che nesciúne se móve e se fáce
mále!… e soprattutte… nen trasíte n’da camere du bbegliarde pe frecareve i paste!!!…
LELLO (fingendo di entrare nella sala del biliardo): Uh madò! e che ce stáce a qqua… che
bbèlle addóre de paste!… Sandrí, mò me fazze ‘na merendíne… leggére leggére…
SANDRINO: Che te puzza muzzucà quèlla lènga fetènde che tíne!
MARIO DE CHIARA: Sandrí… statte spenzaráte… che stíme núje a qquà:… nen ge póte
trasì nesciúne!…
SANDRINO: Uaglió stìteve attinde che íje nen pazzéje!… púre si pe vúje… ogn’e prèdeche
fenèsce a ‘llemosene!
GINO: Sandrí!…, ma stáje bbúne?!? Ma pe chi c’è pegghijáte?!?
Poco dopo la luce ritorna e tra un mormorio e uno scuotimento di tavolini e di sedie, pure imotori di raffreddamento dei banconi frigo riprendono a funzionare, dapprima lentamente, poi sempre più regolarmente. Di colpo prendono forma anche le figure arcigne di Don Salvatore e di Mario De Chiara, che sostano ognuno davanti alle due porte di accesso alla sala da biliardo. Tutti i garzoni e i camerieri, invece, sono di guardia alle paste sui tavoli.
ANTONIO: … Allóre ci’avéte pegghijáte propete pe marijule! … V’avèsseme luáte quacche
pezzáte?
PASQUALE: A’ scurde… andò putaváme fúje?!?
LINO: Sandrí… fatte nu póche n’èsáme de cusciènze!… pe quande facéte…. sckife!…
SANDRINO : Si’ ggiuvenò!… poche chiacchijere… che ogge n’dènghe manghe u timbe pe
grattarme ‘ngápe! Vedéte si pozze penzà a vúje! E po’… che játe truuanne?!?… che ce ne síme
scurdáte che quèll’ata vóte che s’è luuáte ‘a currènde nen sóle i paste so’ sparíte, ma àmme
truáte tutte i tavele smerdiáte! Cì-cì!, nen me facíte arrecurdà!
GINO: Sandrí,… mò ‘sta scúse ci’à ‘ppezzechíje c’a sputacchije!… Lassáma pèrde ch’è
mmègghije!!!
LINO: È ggiuste che i paste n’ze l’ànna ‘rrubbà…, ma è púre ggiuste che ogn’e ttande se
ponne arrijalà!!!…
LELLO: A qua n’z’arriále ninde!… manghe quille che se cáche!!!
Grande risata generale.
Tornata la calma, i cinque bricconi confabulano qualcosa tra di loro. Uscito dal Bar, Lello si reca al Tabacchino di Maffulli e torna con quattro schedine SISAL del Totocalcio.
LELLO: Uagliú!… ‘sta vóte m’u sènde rècchija-rècchije che facéme nu bbèlle tridece… e ce
sestemáme pe ssèmbe!
PASQUALE: Ci’àmma jucà nu sestéme pe quatte doppie e dúje tris…
LINO: Me raccumanne o’ Fogge: nu vúne sicche… cchè éje nu squadróne!…
GINO: Sìi! propete dumáne che véne l’Indèr d’u maghe Hèlènije Hèrrére…
ANTONIO: Mèh!, quagghijáme chèccóse o no?!? Ambrèsse-ambrèssse… dìteme i solde… e
cum’éje?!?… e ggià! … mànghene dújecinde líre pe jucà u sestéme…
GINO: Aspì!… u riste, cum’e l’ate vóte,… mò ci’u ddummannáme a Sandríne, accussì ‘u
facéme trasì n’da sucijetà pe nu sèste.
ANTONIO: Sandrí, che cúle che tíne!,… núje dumáne síme tutte meliunarije… Ècche!,
quèste éje ‘a schèdíne d’a Sisalle che vengiarrà u tridece!… U sestéme nustre coste sckitte
mille e dújecinde líre!: núje àmme ggià misse mille líre… e àmme decíse che púre tu puje trasì
n’da sucijetà!… cacce dújecinde líre!!!
SANDRINE: Pizzinde e granezzúse!… Se nen tenéte i solde p’u sestéme pecchè nen jucáte na
schedína normále???
ANTONIO: E propete pecchjè jucáme u sestéme… núje sparagnáme e cumbaríme! A qqua
ce stanne na fréche de partíte defficele d’addevenà… e c’u sestéme è cchiù facele a ‘ngarrà …
U córe m’u díce che ‘stavóte éje quèlla bbóne… Stáce a ttè a decíde….
SANDRINO: Mhè! nn’a facíme longhe… púre si i solde vanne fuijènne… quiste sonne…
dújecinde líre… Dumáne, doppe magnáte, feníte i partíte, v’aspette a qqua pe sapè cum’è júte
a fenèsce…
ANTONIO: Uagliú! tutt’apposte!… Ce l’àmme fatte!!!… M’a dáte i dújecinde líre …
Nel primo pomeriggio della domenica, come al solito, i giovani andarono a casa di Lello per ascoltare il programma radiofonico “Tutto il calcio minuto per minuto”. Non si sentiva volare una mosca, ma solo la voce rauca del radiocronista Sandro Ciotti. Le partite terminarono e si seppero i risultati: prima quelli della serie A e della serie B; poco dopo anche quelli della serie C. Gli amici avevano sbagliato quasi tutti i risultati.
LINO : Lellù!…vatte spáre tu… e u sestéme!…
GINO: Si vuje ‘na cóse de solde… éje mègghije che te váje a truuà na fatíghe!…
PASQUALE: Mò sì che síme rumaste c’u cúle pe ‘ndèrre!
ANTONIO: E mò chi ci’u váce a ddi’ a Sandríne?!? Chi se mètte ammizze váce sèmbe pe
sotte!
LELLO: Uaggliú! E mò avaste!… éje d’aíjre che tènghe sckitte nu penzíre… Núje quacch’e
ccóse l’àmma púra vènge!!!
LINO: … Mò che te stáje ‘nvendanne?!?
GINO: … E che vol’èsse!… quacch’e n’atu schèrze pe Sandríne!…
LELLO: … U fatte è quiste… mò v’u fazze vedè!… Tènghe angóre quacche schedíne in
bianghe… Mò ce screvíme i resultate d’i partite juste… ce teníme ‘a figghije e jettáme u
riste…
ANTONIO: E cume fáje p’u bulle che se mètte sop’e schedíne???
LELLO: Àgghje penzáte púre a quille!… Mò vache nd’a cucíne, mètte sop’o fuche na tijèlla
d’acqque e,… quanne véne a volle, ce passe sópe, a áse-a áse, ‘a schedíne che àmme jucáte…
Doppe che quèste s’è ‘nzuppáte de vapóre, a ppóche-a ppóche ce spezzechéje u bullíne d’a
schedíne jucáte e ci’u ‘ppezzechéje sópe a quèlla fàveze… Che díce?
ANTONIO: Íje n’zacce ninde!… Si Sandríne se n’accorge… nn’u ppáre cchiù!
LINO: Statte tranquille che po’ a Sandríne… u pegghiáme c’u bbune… ce menàme nu póche
de pòvele n’da l’ùcchije… e chi s’è viste s’è viste!
LELLO: Ècche a qqua… ‘a schedína meliunarije… è ggià ppronde… Mò che ‘a véde… ‘i
véne nu ‘nzùlete…
Risate generali.
PASQUALE: É venúte n’opera d’arte… Nisciúne se n’addunarrà ch’éje na schedína faveze!
E vvai!!!…
I giovani si precipitano al Bar De Chiara…
ANTONIO: Sandrí!… pe’ fúje da te, n’atu póche me rumbéve na cosse… Allóre?!?… che
t’avéve ditte a’íre sére?!?… Quèste è ‘a schedíne che à fatte tridece!!!
LINO: Mò… àmma sckitte aspettà ‘a “Dumèneca Sportíve” pe sapè quande ànne pegghijáte i
tridece!… Ma íje pènze che quèste éje ‘na schèdíne meliunarije!!!
SANDRINO: Sapéte u ditte andíche cume decéve? «Príme d’arapì u ‘mbrèlle aspitte che
chióve»! Mò, damme ‘sta schedíne… ‘a vogghije cundrullà bbèlla-bbèlle ch’i resultáte che
me so’ scritte a qqua ssópe!
GINO: Sandrí… i solde fanne arapì l’ùcchije e’ cecáte!… Síme meliunarije! … síme
meliunarije!!! …
SANDRINO (non credendo ai suoi occhi): È propete luuére!… A qquà stáce nu tridece!…
àmme fatte tridece!!!… e íje púre m’u sendéve che vengèmme!… So’ propete cundènde!…
nen tande pe mmè, ma p’i famiglie vostre… E mò spèriáme d’avè ‘ngappáte nu tridece
meliunarije!!!
PASQUALE: Songhe secúre che stasére deventáme tutte ricche… Me tréme u córe ‘mbitte!!!
NICOLA: ‘Sti fìgghije de ‘ndrocchije e cúlerùtte!… A chi tande e a chi ninde! Ànne fatte
carne de purche!!! Chi sa’ da quand’éje ‘stu tridece!?!
ALESSANDRO: E’ capíte a ‘sti nfáme?!! ànne fatte tridece!… Sandrí!… tíne ‘a fertúne
appezzecáte ngúle!!!
SANDRINO: Gevenò!… n’de credènne!… quèlle ‘a furtúne… éje ‘na scazzètte:… chi s’a
léve… e chi s’a mètte!…
MICHELE: M’avéte fa’ sapè ‘che sestéme avéte jucate?!?…. Sàbbete ca véne vogghije
pruuà púre íje!!! Mèh!… aùrije e’ vengetúre!…. e mò s’adda festeggià!….
ANTONIO: Sì!, quille ch’è ggiuste è giuste! Mò s’adda uffrì a tutte quande ‘na paste e nu
cognacchíne… o quille che ognúne se vóle véve!… N’àmma fa’ na cóse arrangiáte… Púre si
‘a vèngete nen sarrà ‘stu granchè… ammacáre ‘na cunsumazióne appedúne ci’add’ascì!!!
Allegria generale
SANDRINO: N’d’allarganne troppe! A l‘ànema túje!!! Che ci’u vu’ fa’ sapè a tuttu quande!?!
TUTTI: Sì…sì….sì… ‘na paste e nu cognacchíne!!!
LELLO: Sandrí!… núje síme minorènne… e nen putéme jì a sigge… Ce vuléme fedà angóre
d’a fertúne… Núje te cunzegnáme ‘a schedíne e tu ‘a váje a sigge e po’ spartíme… Chè díce?!?
SANDRINO: ‘U díce púre! Mò, damme ‘sta schedíne, che ‘a stípe a chiáve n’do taratúre d’u
bangóne!… Fetinde… fetìnde!… veníte a pigghijareve ‘a paste e u bbuccurucce!!!
Un paio d’ore più tardi
LINO: Sandrí, Sandrí!… a’ “Dumèneca Sportíve” ànne ditte che quèsta settemáne u tridece à
vinde 936.0000 líre!!!… Nen sarrà nu tridece meliunarije,… ma éje sèmbe mègghje de
ninde!…
PASQUALE: Me sènde arrezzenì i carne!….
SANDRINO: 936.000 devíse pe séje… fanne 156.000 líre appedúne… bbèlli quatte solde pe
sta maniáte de spezzendáte!!!
GINO: Ziàneme che fáce u majèstre nen pigghije manghe 50.000 líre o’ mése….
ANTONIO: Madò!, íje tènghe già i petirre!… Ce vedíme dumane… pe sparte…
Sapendo di averla fatta grossa, per diversi giorni i ragazzi non si fecero vedere al Bar De Chiara. Poi, dandosi coraggio, decisero che era giunto il momento di affrontare Sandrino. Un pomeriggio comparvero al Bar …
SANDRINE: E síme arreváte! ‘Sti sorte di ‘mbrugghijúne!… M’avéte lassáte che ‘stu bbèlle
cunigghije ‘mmáne!… Just’a mmè! Fetìnde-fetì!… Pe Maffulle me so’ púre attaccáte,… ma
po’ m’agghij’avúta sta’ citte… Me vuléve fa’ chiamà… pecchè avéve truccáte ‘a schedíne…
Che fegúre de mmèrde!!!… Si ve tenéve annanze… avèsse fatte ‘nu lavaróne de sanghe!!!
ANTONIO: Púre núje síme rumaste che ttande de náse!… Quille ‘a schedíne che avèmme
jucáte ce l’ànne sustetuíte quanne se n’è júte ‘a lúce!…
LINO: Tu tíne raggióne… Te capíme èccóme! O’ poste túje ce sarèmme ‘nguiatáte púre
núje… T’addummannáme scúse…, ma púre núje ce síme fatte na cápe de chiande p’a
delusióne e p’i solde che n’àmme cchiù sseggiúte!
SANDRINO: ‘Sti malacarne!… ma è máje pussibbele che pe vvúje ogn’e pazzíje adda
fenèsce sèmbe a fite!… V’avarríje misse ‘a fóca ‘nganne!… quand’è vére… M’ére misse u
córe nd’o zùcchere!… Che ve pòzzen’accíde ‘nganne!… Mò mettimece na préta sópe… e
n’ge penzáme cchiù!… E spèriáme che ‘a prossema vóte… u pegghijáme vèramènde nu
bbèlle tridece!!!
Continua…
Il prossimo capitolo sarà pubblicato martedì prossimo.
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