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Pillole Dialettali, Tradizioni: I SUTTANE (LE ABITAZIONI A PIANTERRENO)

I SUTTANE (LE ABITAZIONI A PIANTERRENO)

“I SUTTANE“, il nome stesso lo dice, erano abitazioni, poste al piano terra, a volte anche sotto il livello stradale, degli antichi palazzi lucerini, composte di solito di uno o due vani, con l’accesso diretto sulla strada, con una porta a vetri con le tendine (‘a vetríne ch’i pannètte) che serviva d’ingresso e per il passaggio dell’aria e della luce.

Si trattava di abitazioni povere, insalubri, umide e senza luce che avevano una superficie di pochi metri quadrati ove ci vivevano, il più delle volte, famiglie molto numerose. Abitazioni, quindi, che erano una sorta di dormitorio, ove, spesso, potevano trovare ricovero anche animali.

Il tenore di vita degli abitanti era estremamente basso, il regime alimentare carente, la situazione igienica delle case era pessima aggravata dalla pioggia che poteva causare allagamenti frequenti.

La mobilia si riduceva al letto, sotto il quale veniva posta “ ‘a casce d’u currede“ (la cassa del corredo), mentre al centro dello stesso era sistemata “ ‘na bbambole “, “ ‘a rmadeje (l’armadio), “ ’u stípe“ (la madia)“ u tavele “ (il tavolo), con poche sedie, “ u chemò “ (il comò), con sopra “ i cambane de vétre “ (le campane di vetro) al cui interno trovavano posto le statuine dei Santi e le fotografie dei familiari morti, e “ u quadre d’u córe de Ggesù “ (il quadro raffigurante il cuore di Gesù) o “ de Sanda Maríje (Santa Maria Patrona) attaccati al muro.

Di sera comparivano i letti dei figli più grandi, mentre i più piccoli dormivano ai piedi dei genitori o in mezzo.

In un angolo, ricavato da tramezzi o tende, dietro “ ‘a rmadeje (l’armadio), c’erano i servizi igienici: “u candre” (il cantaro che fungeva anche da pitale) e “ ‘a pèzze d’u candre” (un pezzo di stoffa con cui ci si puliva dopo la defecazione).

Separata da una tenda, alle spalle “ d’u stípe“ (la madia per il pane e le derrate), c’era la cucina “ con “ l’appenne-rame “ (appendi rame) con tegami, casseruole, padelle, stoviglie e piatti .

Nella stragrande maggioranza di queste case non c’era l’acqua corrente, e ci si riforniva dalla fontana pubblica più vicina.

L’energia elettrica arrivò tardi e le abitazioni erano illuminate dai “i lume a ppetroleje“ (le lampade a petrolio).

D’inverno nelle sere fredde, al centro della casa, veniva posto “u vrascíre“ (il braciere), attorno al quale si diceva “ u resaríje “ (il rosario), oppure si discorreva degli avvenimenti giornalieri e di lavoro o anche si dicevano “i cúnde“ (i racconti).

Non era inconsueto che gli artigiani svolgessero la propria attività presso la propria abitazione e da qui l’espressione “FFÀ CASE E PUTECHE“.

Di solito, nelle calde sere d’estate, le strade dei “ suttane “, si trasformavano in un vero e proprio salotto all’aperto con sedie sistemate per chiacchierare del più e del meno o anche per mangiare tutti insieme “ l’acquasale “ (la panzanella).

In buona sostanza in queste case si mangiava, si dormiva, si lavorava e….si moriva.

Pochissimi sono i “i suttane” ancora abitati; essi sono diventanti, negozi, botteghe, ristoranti, garage.

 

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