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21 Novembre 2024
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Sfogliando – Detti e Contraddetti…così per dire: “È PROPETE ‘NA JANÁRE”

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I proverbi e i modi di dire lucerini sono tanti. Di solito la loro origine è lontana e frutto di culture passate. Molto spesso hanno alle loro spalle un riferimento ben preciso, ovvero una storia e un significato, che non molti conoscono, dato che si tratta di detti appartenenti alla tradizione, alcuni scomparsi e altri poco in uso. Allora, non è mai troppo tardi per riproporli e questa rubrica offre un’opportunità piacevole, e speriamo interessante, per saperne di più.

” È PROPETE ‘NA JANÁRE”

George Fuller (American, Deerfield, Massachusetts 1822–1884 Brookline, Massachusetts)
George Fuller (American, Deerfield, Massachusetts 1822–1884 Brookline, Massachusetts)

Traduzione: (È veramente una donna volgare e chiassosa)

Significato:  “Modo di dire per indicare una donna becera, villana, mancante di educazione, del senso della misura, che in una discussione pretende d’aver sempre l’ultima parola. ”

Curiosità:  “Etimologicamente il termine “janára” pare derivi da “Dianarae”, donne pagane che si dedicavano al culto della dea Diana, la divinità romana della Luna. Originariamente stava a indicare quelle streghe, conosciute come creature maligne e vendicative, che possedevano la conoscenza dell’occultismo e dei riti magici. Si diceva che assumessero le sembianze di gatti neri, avessero rapporti col diavolo, facessero incantesimi mortali, spaventassero a tal punto le puerpere da far perdere loro il latte, avessero il potere di far venire le gambe ricurve ai neonati, legassero a intreccio le code dei cavalli. Il mito, di origine beneventana, si diffuse col tempo in tutto il meridione d’Italia. Le janáre, chiamate con nomi diversi nei vari luoghi, erano le protagoniste immancabili dei racconti orali della tradizione del mondo contadino. Si credeva che uscissero di notte e per tenerle lontane bisognasse afferrarle per i capelli oppure collocare davanti all’uscio di casa una scopa o un sacchetto di sale, cosicché le streghe, intente a contare i fili della scopa o i granelli di sale, si sarebbero distratte non accorgendosi che stava per sorgere il sole, quando il loro potere malefico sarebbe svanito. Esse avevano un segno distintivo; nascevano nella notte di Natale e acquisivano il potere magico solo all’età di sette anni. Furono rancorosamente combattute osteggiate dalla Chiesa che le considerava donne del diavolo e perciò eretiche. A Lucera le janare erano chiamate “Masciáre” (il termine che deriverebbe da Megera, una delle tre tremende Erinni, cioè personificazioni femminili della vendetta oppure dal longobardo masca che significa strega), la cui fama di abili conoscitrici delle arti magiche, al contrario di quelle beneventane, era intrisa non solo di misteri e segreti ma anche di connotazioni positive perché, oltre a praticare incantesimi o sortilegi, erano capaci, con l’utilizzo di misteriosi e miracolosi filtri guaritori, di risolvere svariati problemi della gente. Di solito abitava in locali seminterrati o di pianterreno (suttáne). Il termine “ janára”, stranamente, è rimasto nel nostro dialetto ed evolvendosi è arrivato a indicare una donna poco raccomandabile, triviale, ciarliera, sboccata e petulante, di infima condizione civile, seminatrice di zizzania, incline al pettegolezzo, alla chiassata, ai litigi, che si accende per un nonnulla. In questi tempi, il termine ha assunto il significato di persona adusa a urlare.”


Rubrica di Lino Montanaro & Lino Zicca

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