“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
Per conoscere la filosofia di vita e le caratteristiche peculiari del lucerino medio, lo studio dei proverbi, dei modi di dire, delle locuzioni è un percorso obbligato. Infatti la maggior parte dei detti popolari colpiscono nel segno e se i luoghi comuni sono tali, eventualmente ci sarà un motivo di fondo. Eccone alcuni esempi:
• PE FFOTTE A MME CE VONNE TTRÈ CCÓSE, ARTE, PRATECHE E SI TE VÉNE FATTE = Anche il più ingenuo dei lucerini ha furbizia da vendere, e se ti vuole fregare, ti farà passare le pene dell’inferno
• BBÈLLE, BBÈLLE, ÍJE N’AGGHJE VVÍSTE E SENDÚTE NÌNDE! = Il lucerino medio si sente sempre obbligato al silenzio su tutto quello che vede e sente per non essere coinvolto, salvo poi, se sollecitati e per quella che ritiene una giusta causa, a dilungarsi in una dovizia di particolari, fin troppa minuziosa
• A NDÒ MAGNENE DÚJE, MAGNENE TTRÈ = Ciò che basta per due persone, può bastare anche per tre. Grande cuore lucerino: anche se arrivi all’improvviso, in una casa lucerina, non rimarrai di certo mai a digiuno
• LUCERÍNE ‘MBOCACIUCCE = I lucerini hanno un carattere focoso e permaloso. Si infiammano per un nonnulla e si offendono con molta facilità se ti azzardi a dire qualcosa che non gli va a genio
• ‘A CUSSCIÈNZE È CÚM’A CAVEZÈTTE, MÒ È LLARGHE E MÒ È STRÉTTE = Per il lucerino medio è difficile essere coerente, sempre e in tutto, perché il suo comportamento è spesso improntato a furbizia opportunistica e cinica, teso a ottenere il proprio esclusivo tornaconto
• U LUCERÍNE VOLE AVÈ SÈMBE RAGGIONE = Anche di fronte alla evidenza assoluta il lucerino medio sente l’insopportabile bisogno di avere sempre ragione, arrivando a trascinare qualsiasi discussione ad oltranza finché non vede riconosciute le sue ragioni per sfinimento dell’interlocutore
• U LUCERÍNE S’APPÍCCE PÚRE ‘ND’A L’ACQUE! = Il lucerino medio è soggetto a frequenti esaltazioni per qualsiasi cosa, manifestando spesso entusiasmi eccessivi, però, nel contempo, si deprime facilmente se insorgono ostacoli, imprevisti, o complicazioni. A prima vista possono apparire quasi tutti difetti, ma tutto dipende dal punto di vista con cui vengono analizzati.
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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