“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
Il nostro dialetto ha una capacità di sintesi eccezionale e, infatti, spesso con una o anche due parole si riesce a concretizzare concetti che in italiano sono lunghissimi. In particolare esistono un abbondante numero di locuzioni in cui viene utilizzato il verbo “ ASSCÌ “, e che è la dimostrazione più evidente di quanto sostenuto.
Eccone alcuni esempi:
– A Lucera quando si vuole indicare che una persona è solita trascorrere la sua giornata frequentando le case altrui, si dice “ A NDÒ ÈSSCE E NDÒ TRASE “
– A Lucera quando si vuole indicare che certi discorsi hanno stufato, non se ne può più oppure si è mangiato esageratamente , si dice “ ASSCÌ P’I RÈCCHJE “
– A Lucera quando si vuole indicare che non si riesce più a ricordare una parola pur avendole sulla punta della lingua, si dice “ NNE MM’AÈSSCE “
– A Lucera quando si vuole indicare che per qualcosa che è accaduto, si rimane sbalorditi, sconcertati, stupefatti, si dice “ASSCÌ DA FÓRE E’ PANNE “.
– A Lucera quando si vuole indicare che una donna è in stato di concepimento, sta aspettando un bambino, si dice “ASSCÌ NGINDE “
– A Lucera quando si vuole indicare che una persona perde l’efficienza mentale oppure ci si è infatuati, innamorati di qualcuno, si dice “ASSCÌ MATTE “
– A Lucera quando si vuole indicare che l’acqua contenuta in una pentola sul fuoco è in stato di ebollizione, si dice “ASSCÌ A VVÓLLE “
– A Lucera quando si vuole indicare che in una discussione si sta proprio esagerando, passando il segno si dice “ASSCÌ A FFÍTE
– A Lucera quando si vuole indicare che in una discussione c’è qualcuno che, esagerando, interrompe continuamente con le proprie argomentazioni, si dice “ASSCÌ NANDE PE NNANDE “
– A Lucera quando si vuole indicare che si è mangiato così in abbondanza da provare addirittura fastidio, si dice “ASSCÌ PE L’ÚCCHJE “
– A Lucera quando si vuole indicare che si è usciti indenni da una situazione estremamente pericolosa, si dice “ ASSCÌ DA DÌND’U FÚCHE “
– A Lucera quando si vuole indicare che si è arrivati a dirsele di tutti i colori, rinfacciandosi reciprocamente le proprie origini , si dice “ASSCÌ A CHI SÌ TU E CHI SÒ ÍJE “
– A Lucera quando si vuole indicare che hanno perso la pazienza e se le sono date di santa ragione, si dice “ASSCÌ A TACCARATE “
– A Lucera quando si vuole indicare che dopo una serie di paroli vivaci, la discussione ha avuto una lieta conclusione, si dice “ASSCÌ A RRÍSE “
– A Lucera quando si vuole indicare che una persona sta impiegando troppo tempo a prepararsi, si dice “ ADDA SSCÌ ‘A SPOSE “
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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