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21 Novembre 2024
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Dialettando – “A Lucera si dice 34”, parole e locuzioni che non vengono, o quasi, più usate nel dialetto corrente

Dialettando, modi di dire lucerini di Lino Montanaro
realizzazione siti web Lucera

Lino Montanaro“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.

Come in ogni vicenda della vita, anche per il dialetto succede che tanti termini o modi di dire, cadono in disuso per svariate ragioni che vanno dalla scolarizzazione di massa, alla modifica del linguaggio, alla sparizione di un numero rilevante di attività quotidiane, al progresso tecnologico che porta all’accantonamento di strumenti che nel passato erano indispensabili e altri ancora. Ecco alcuni esempi di parole e locuzioni che non vengono, o quasi, più usate nel dialetto corrente:

– Quando un ragazzo si intratteneva troppo in bagno, si diceva: STACE FACÉNNE I ZECULÉLLE.
– Quando si voleva fare un succinto commento sulla morte di qualcuno, si diceva “ RÈQUJÉSCKATTEMBACE.
– Quando si voleva indicare una persona che aveva le narici del naso larghe, si diceva “ NASE SFRUSCIÁTE “
– Quando si voleva indicare che una persona era perseguitato dalla sfortuna, si diceva “ TÉNE ‘A SCHEMMÚNECA NGÚLLE “
– Quando si voleva indicare che una persona tendeva a chiudersi in se stessa, mostrandosi scorbutica e introversa, si diceva “NU PÚRCHE FÓRE MORRE “
– Quando si voleva indicare una donna vistosamente ingioiellata, si diceva “ PARE ‘A MADONNE DE PUMBÉJE “
– Quando si voleva indicare la sottoveste femminile, si diceva ‘A CUMENAZZIÓNE “
– Quando si voleva indicare che un bambino era stato battezzato, si diceva “ È STATE VATTJATE “
– Quando si voleva indicare un giovanotto ben vestito, ma un po’ irrigidito dall’abbigliamento, si dice “ U PÚPE ZECCÁRDE “
– Quando si voleva indicare che una persona aveva un naso pronunciato, si diceva “ TÉNE U NASE A PPEPARÚLE ”
– Quando si voleva indicare che una persona si era rimbambita, si diceva “ S’È NZALENÚTE ”
– Quando si voleva indicare il piatto di forma ovale ed allungata dalle sponde leggermente rilevate, si diceva “ ‘A SPERLONGHE “
– Quando si voleva indicare il venditore ambulante di vestiario usato, si diceva “ U PANNACCIARE “
– Quando si voleva indicare una persona che non usciva mai, si diceva “ FÁCE I PAPPELE “
– Quando si voleva indicare che per risolvere un contrasto si ricorreva all’avvocato, si diceva “ L’À FÁTTE CHIAMÀ “
– Quando si voleva indicare che una persona che aveva gli occhi stanchi, rossi, infossati, si diceva “ TÉNE L’ÚCCHJE QUAGGHJATE “
– Quando si voleva misurare le cataste di legno, si usava come misura di lunghezza “ A MEZZA CANNE (corrispondeva a mt.1,10)
– Quando si voleva indicare il fazzoletto che veniva utilizzato da chi s’infortunava o aveva il mal di testa, si diceva “ ‘A MEZZASCOLLE”
– Quando si voleva indicare una persona delle grandi labbra carnose, si diceva “ MÚSSE DE BBRASCIÓLE “
– Quando si voleva indicare una persona un comportamento stravagante, si diceva “SCAPECERRATE “

 

REGOLE DI PRONUNCIA

Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.

1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).

2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).

3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).

4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.

5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).

6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).

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