“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
Nel nostro dialetto lucerino, al fine di rendere più facilmente accessibili determinati concetti inerenti al comportamento umano, esistono delle parole o espressioni che hanno una fortissima capacità evocativa e di sintesi. Alcuni esempi:
• A Lucera per esprimere un senso di avversione, di ripugnanza, disprezzo verso qualcuno o qualcosa, si dice “ GGNÁCCHE! “
• A Lucera per esprimere meraviglia, rabbia, contrarietà nei confronti di qualcuno, si dice “ A LASCKA TÚJE! “
• A Lucera per sottolineare che qualcuno è lento, svogliato e pigro, si dice “ ‘STU MUSSCEMATTÉJE “
• A Lucera per indicare quanto una persona è considerata di poco valore ed è tenuta in scarsa considerazione fisica, si dice “ ‘STU CÁNDRE “
• A Lucera per i sottolineare quanto una persona sia furba, scaltra, capace di uscire da qualsiasi situazione, si dice “ ‘STU FIGGHJ’E NDROCCHJE “
• A Lucera per diffamare o oltraggiare una ragazza, una signora, si dice “ ‘STA ZOCCHELE! “
• A Lucera per offendere una donna, dicendole di essere attaccabrighe, rissosa e volgare nel parlare si dice “ ‘STA VAJÁSSE, ‘STA CHIAZZÉRE, ‘STA MURÁRE “
• A Lucera per esprimere la propria disistima verso una persona, si dice “ SI ‘NA SEMÈNDE DE FFÈSSE! “
• A Lucera per dare a una persona dello stupido, dell’ incompetente, del buono a nulla, si dice “ ‘STU CAZZÓNE “
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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