“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
Il dialetto lucerino, come altri dialetti, è un insieme di suoni e parole, a volte davvero particolari, derivate da altre lingue.
Alcuni esempi:
DALLO SPAGNOLO:
• AMMUÍJNE da amohina = chiasso
• BBEFFETTÓNE da bufeton = grosso schiaffo
• MACCATÚRE da macador = fazzoletto per il naso o quello usato come copricapo
• MENDÓNE da montón = mucchio
• ZOCHE dallo spagnolo soga = corda DAL LATINO:
• ALÉRTE da ertus = in piedi
• APPRISSE da ad pressum = dietro
• JETTÀ da iactare = gettare
• NGINDE da incinctam = incinta
• PESCRÁJE da postcras = dopodomani
DAL FRANCESE:
• BBERLOCCHE da breloque = ciondolo
• BBUSCÍJE da bausì = bugia
• CACAGGHIÀ da cacailler = balbettare
• RÁGGE da rage = rabbia
• SSCIARRABBÁLLE da char a bancs = calesse (E’ citato da più fonti)
DAL GRECO:
• CRUMMATÍNE da chromatos = lucido per scarpe
• NÁCHE da náke = culla
• GRÁSTE da gástra = vaso per fiori
• PUTECHE da apothéke = bottega
• PUTRUSÍNE da petrosélinon = prezzemolo DALL’ARABO:
• TAVÚTE da tabut = bara
• CHIÁRFE dal qiàrf = moccio
• CUPÈTE da qubbayta = torrone mandorlato
• SSCIÁRRE da sharah = lite
• ZZÍRE da zir = recipiente per l’olio
DALL’INGLESE:
• BBÈCCHE da buck = soldi
• FLÌTTE da fly toxic = insetticida
• GINGOMME da chewing gum = gomma da masticare
• SMOCCHE da to smoke-fumare = spaccone
• TACCHIJÀ da track-strada = camminare veloce
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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