“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 327
A Lucera non si dice “Ha capito una cosa per un’altra” ma si dice “L’À CCAPÍTE A SSENISTROSÈNZE “ – (Traduzione: L’ha intesa al contrario)
A Lucera non si dice “Non prendo mai in considerazione quello che fai o quello che dici” ma si dice “TU A MMÈ ME TÍRE U PÍLE CCHJIÙ LUNGHE” – (Traduzione: Tu mi tiri il pelo più lungo)
A Lucera non si dice “Stai sempre ad abbuffarti , non perderai mai peso! “ ma si dice “È FÈSSE E CÚME MAGNE, MÒ S’AMMOSSCE A TTÈ U CARNASCIÓNE! “ – (Traduzione: Caspita come mangi, non ti diminuirà mai la pancia!)
A Lucera non si dice “Si è ridotto in uno stato di spettrale magrezza” ma si dice “PARE ASSCIÙTE D’A TOMBE DE SAN DUMENÍCHE “ – (Traduzione: Sembra uscito dalla tomba di San Domenico)
A Lucera non si dice “C’è stata una pioggia assai copiosa” ma si dice “È VVENÚTE U ZEFFÚNNE “ – (Traduzione: È arrivato il finimondo)
A Lucera non si dice “Ne ha sempre in grande quantità ” ma si dice “S’U JJÉTTE PE FFACCE E PPE NASE” – (Traduzione: Se lo butta per faccia e naso )
A Lucera non si dice “È una persona molto fastidiosa” ma si dice “QUILL’ÉJE ÈREVE CHE PONGECHE ‘NGÚLE “– (Traduzione: Quello è erba che punge il sedere)
A Lucera non si dice “Lo mostra solo per fare bella figura, per ornamento” ma si dice “U TÉNE SCKITTE PE BBÈLLE VEDÈ “ – (Traduzione: Ce l’ha solo per bel vedere)
A Lucera non si dice “Non vive serenamente, assillato sempre da cattivi pensieri” ma si dice “PARE CHE TÉNE SÈMBE I RÚSPE NGÚRPE “ – (Traduzione: Sembra che ha sempre rospi nella pancia)
A Lucera non si dice “È una persona che manca sempre di di senso di opportunità” ma si dice “E CHE SORTE DE LEPPECÚSE!”– (Traduzione: Che specie d’indiscreto)
Foto: Anni 80 – Piazza del Popolo – Porta Troia
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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