“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 325
A Lucera non si dice “Di fronte alle proprie responsabilità, è rimasto in silenzio” ma si dice “L’È SCENNÚTE ‘A LÈNGA ‘NGANNE “ – (Traduzione: Gli è scesa la lingua in gola)
A Lucera non si dice “Ronzavano sempre dietro a ogni ragazza” ma si dice “FANNE SÈMBE I MUSCHEGGHJÚNE” – (Traduzione: Si comportano sempre come mosconi)
A Lucera non si dice “Scansa ogni lavoro e cura solo il suo modo di vestire “ ma si dice “ASSEMÈGGHJE NU CANE SEGNÓRE “ – (Traduzione: Sembra un cane da salotto)
A Lucera non si dice “Il prestito non sarà mai restituito” ma si dice “‘STI SOLDE L’È MÈTTE A MMERTÓRE “ – (Traduzione: Questi soldi li devi mettere a mortorio)
A Lucera non si dice “È una situazione cui non ci si può opporre” ma si dice “ÀJA VÈ MAZZATE E NN’È CHIAGNE “ – (Traduzione: Devi avere botte e non devi piangere)
A Lucera non si dice “È una persona negata per il lavoro” ma si dice “QUILL’ÉJE PROPEJE NU SCKENÌLLE” – (Traduzione: Quello è proprio uno scansafatiche)
A Lucera non si dice “Le sue visite sono sempre brevissime” ma si dice “ASSEMÈGGHJE CÚME SE VENÈSSE ‘MBRISTE “– (Traduzione: Sembra come se venisse in prestito)
A Lucera non si dice “Perché vai così di fretta?” ma si dice “CHE È JÌ A SPEDÌ ‘A REZZÈTTE A SPEZZIARIJE? “ – (Traduzione: Devi andare a spedire la ricetta in farmacia?)
A Lucera non si dice “Non drammatizziamo, la situazione non è irreparabile!” ma si dice “ÍJE DICHE CHE CHJÓVE E NNÒ CH’ADDA VVENÌ U ZEFFÚNNE! “ – (Traduzione: Io dico che piove, ma non che diluvia)
A Lucera non si dice “Un’espressiva sottolineatura di quanto si sta parlando” ma si dice “CAPEDECAZZE!”– (Traduzione: Accidenti!)
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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