“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 316
A Lucera non si dice “Gliene ha date di santa ragione “ ma si dice
– “L’ À DDREZZATE I FELÍTTE “ – (Traduzione: Gli ha raddrizzato le ossa del costato)
A Lucera non si dice “L’educazione dei figli è rovinata dalle troppe concessioni” ma si dice
– “CUMBÌTTE E CCANNELLÌNE FANNE I FIGGHJE MALANDRÍNE “ – (Traduzione: Confetti e confettini fanno i figli malandrini)
A Lucera non si dice “Ha mangiato veramente con gusto” ma si dice
– “SE N’È VVÍSTE DE BBÉNE, S’È LLECCATE L’ÓGNE “ – (Traduzione: Se ne è visto di bene, si è leccato le unghie)
A Lucera non si dice “Devi fare la persona equilibrata e non agire d’impulso” ma si dice
– “MÒ È MÈTTE ‘A CAPE O PENZÍRE “ – (Traduzione: Adesso devi mettere la testa al pensiero)
A Lucera non si dice “Deve sopportare una situazione molto pesante” ma si dice
– “L’È CCADÚTE ‘A CASA NGÚLLE” – (Traduzione: Gli è crollata la casa addosso)
A Lucera non si dice “È necessario agire tenendo sempre conto dei propri limiti e delle proprie capacità” ma si dice
– “T’È MESURÀ CÚM’A VOLEPE “– (Traduzione: Ti devi misurare come la volpe)
A Lucera non si dice “Le sventure arrivano quando meno te le aspetti” ma si dice
– “I UÀJE VÉNENE D’O BBÚCHE D’A MASCKATÚRE!” – (Traduzione: I guai arrivano dal buco della serratura)
A Lucera non si dice “Fa la bella vita senza poterselo permettere” ma si dice
– “NEN TÉNE TAZZE E VVÉVE CAFÈ “ – (Traduzione: Non ha le tazze e beve caffè)
A Lucera non si dice “Ti comporti in modo indecente” ma si dice
– “TÍNE FACCE E CÚLE SCKITTE ‘NA CÓSE “ – (Traduzione: Hai faccia e sedere una sola cosa)
A Lucera non si dice “È una persona estremamente vivace e sveglia” ma si dice
– “ASSEMÈGGHJE ‘A VUCÌLLE D’A NÈVE”– (Traduzione: Sembra l’uccello della neve)
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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