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Dialettando 315 – Modi di dire Lucerini

lino-montanaro“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.

DIALETTANDO 315

A Lucera non si dice “Ci tocca ingoiare questo boccone amaro“ ma si dice
– “ ‘STI CIAMMARUCHÈLLE C’È L’ÀMME GGNOTTE PE TUTT’A SCORZE “ – (Traduzione: Queste lumachine dobbiamo mangiarle con tutto il guscio)

A Lucera non si dice “Lasciatelo stare che è di pessimo umore!” ma si dice
– “OGGE STACE PROPEJE NGUARTATE! “ – (Traduzione: Oggi è proprio arrabbiato)

A Lucera non si dice “Sarai anche un furbastro, ma a me non la dai a bere” ma si dice
– “TU À SAJE LONGHE , MA NN’A SAJE ACCUNDÀ “ – (Traduzione: Tu la sai lunga, ma non la sai raccontare)

A Lucera non si dice “Fa la snob ma è una povera sventurata” ma si dice
– “ ‘A SEGNÓRE CHE L’ÓGNA SPACCATE “ – (Traduzione: La signora con l’unghia rotta)

A Lucera non si dice “È solamente un ragazzo!” ma si dice
– “MANGHE È ASSCIÚTE D’A SCORZE DE L’ÓVE!” – (Traduzione: È appena uscito dal guscio dell’uovo)

A Lucera non si dice “È un desiderio molto comune volere una vita serena e senza problemi” ma si dice
– “SÈNZA ÚSSE E SÈNZA SPÍNE “– (Traduzione: Senza ossi e senza spine)

A Lucera non si dice “Ha una particolare predilezione per quella persona” ma si dice
– “U PORTE APPÍSE ‘NGANNE” – (Traduzione: Lo porta appeso al collo)

A Lucera non si dice “Spira un vento fortissimo” ma si dice
– “PARE CHE TÉNGHE I LUPUNARE ARRÉT’A PORTE “– (Traduzione: Sembra che ho i lupi mannari dietro la porta

A Lucera non si dice “Pretende che sia io a risolvere il suo problema” ma si dice
– “VOL’ÈSSE CAPATE ‘A GRAMÈGNE DA MMÈ “ – (Traduzione: Vuole che divida io la gramigna)

A Lucera non si dice “Conservo questo vestito per le cerimonie e per i giorni festivi” ma si dice
– “ ‘STÀ TULÈTTE M’À TÉNGHE SÓPA SÓPE”– (Traduzione: Questo abito lo tengo sopra sopra))

 

REGOLE DI PRONUNCIA

Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.

1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).

2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).

3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).

4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.

5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).

6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).

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