“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 313
A Lucera non si dice “È una situazione definitiva, senza via d’uscita “ ma si dice
– “ORAMAJE CI’À CANDATE U GALLE “ – (Traduzione: Oramai ha cantato il gallo)
A Lucera non si dice “Una persona negativa corrompe tutto l’ambiente” ma si dice
– “NU PEPARÚLE FORTE NFURTISSCE TUTT’A FESÌNE “ – (Traduzione: Un peperone forte rende piccante tutta la giara)
A Lucera non si dice “L’hanno diffamato con false calunnie” ma si dice
– “L’ÀNNE MÌSSE SÓP’A NU PÚRCHE “ – (Traduzione: Lo hanno messo su un maiale)
A Lucera non si dice “Essere molto ricco” ma si dice
– “TENÉ I SOLDE SPASE O SÓLE “ – (Traduzione: Ha i soldi distesi al sole)
A Lucera non si dice “Alla bruttezza unisce un’innata disposizione a far del male” ma si dice
– “BBRÚTTE DE FACCE E BBRÚTTE DE CÓRE” – (Traduzione: Brutto di faccia e brutto di cuore)
A Lucera non si dice “In un baleno si è creato un assembramento” ma si dice
– “NDA UNUUÀ S’È FATTE ‘A FOLLE ‘A CANDÍNE “– (Traduzione: Improvvisamente si è fatta la folla alla cantina)
A Lucera non si dice “È una situazione di grande disordine” ma si dice
– “PARE ‘A BBORZE D’A VAMMANE” – (Traduzione: Sembra la borsa della levatrice)
A Lucera non si dice “Ha raggiunto il colmo del nervosismo e sta per esplodere per l’ira” ma si dice
– “S’È MBUCATE ‘A TÌGNE “ – (Traduzione: Si è riscaldata la testa)
A Lucera non si dice “All’apparenza è tranquillo ma in realtà è una persona severa, autoritaria, dura” ma si dice
– “QUILLE NN’ÉJE TANDE DOCE DE SALE “ – (Traduzione: Quello non è tanto dolce di sale)
A Lucera non si dice “È una persona che è sempre disponibile ” ma si dice
– “ PARE CHE TÉNE U CAMBANÌLLE NGÚLE “ – (Traduzione: Sembra che abbia un campanello nel sedere)
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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