“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 312
A Lucera non si dice “Le donne sono imprevedibili “ ma si dice
– “A FÈMMENE CCHJÙ ALLISSCE E CCHJÙ MÉNE CAVECE “ – (Traduzione: La donna più la coccoli e più tira calci)
A Lucera non si dice “Non dargli peso, sono solo chiacchiere ” ma si dice
– “È SCKITTE SFÚGHE DE VOCCHE “ – (Traduzione: È solo sfogo di bocca)
A Lucera non si dice “Guardarti dalle persone che agiscono di nascosto” ma si dice
– “MITTÈTE PAURE DE L’APA SORDA “ – (Traduzione: Stai attento all’ape sorda)
A Lucera non si dice “I più deboli hanno sempre la peggio, anche quando non centrano” ma si dice
– “U PESSCELICCHJE MBONNE U LÍTTE E U CULACCHJLLE PIGGHJE I TACCARATE “ – (Traduzione: Il pipì bagna il letto e il culetto prende le botte)
A Lucera non si dice “Devi sempre passare di qua!” ma si dice
– “T’ASPÈTTE O ‘MBÚSTE!” – (Traduzione: Ti aspetto al varco!)
A Lucera non si dice “È stato cosciente fino alla fine” ma si dice
– “È MÚRTE P’I SINZE NGAPE! “– (Traduzione: È morto con i sensi in testa)
A Lucera non si dice “È una casa dove c’è sempre caos ” ma si dice
– “PARE ‘A CASE ‘A MUNACÈLLE” – (Traduzione: Sembra la casa della MUNACÈLLE (una popolana di Lucera)
A Lucera non si dice “Si muove velocemente, perché vuole fare sempre presto” ma si dice
– “ASSEMÈGGHJE CHE TÉNE SÈMBE U TRIC-TRAC APPEZZECATE ‘NGÚLE! “ – (Traduzione: Sembra che abbia sempre un petardo attaccato al culo!)
A Lucera non si dice “È una persona che gradisce i dolci e ne mangia troppi” ma si dice
– “ÉJA PROPETE NU MÚSSE DOCE”– (Traduzione: È proprio un muso dolce)
A Lucera non si dice “Si sono radunate delle persone per guardare, curiosare e commentare” ma si dice
– “ÀNNE FATTE NU RUTÌLLE”– (Traduzione: S’è formato un gruppetto di persone)
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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