“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 311
A Lucera non si dice “Si è preso una grossa ubriacatura “ ma si dice
– “MADONNE E CHE CANE S’È GGIUSTÀTE! “ – (Traduzione: Accidenti che cane si è preso)
A Lucera non si dice “È stato picchiato molto duramente” ma si dice
– “L’ÀNNE SFRACANATE DE MAZZATE “ – (Traduzione: Con le botte lo hanno fatto a pezzi)
A Lucera non si dice “Anche se non lo manifesto apertamente, solo io conosco cosa provo dentro” ma si dice
– “SACCE ÍJE CCHE TÉNGHE ‘NGÚRPE “ – (Traduzione: So io cosa ho in corpo)
A Lucera non si dice “Gli ha dato uno schiaffone violentissimo” ma si dice
– “L‘À SETUUATE NU SORTE DE MARFALE ‘MBACCE” – (Traduzione: Gli ha assestato uno schiaffo in pieno viso)
A Lucera non si dice “Non bisogna mai prostrarsi troppo, perché la propria dignità non ha prezzo!” ma si dice – “CHI TROPPE SE DEVASSCE, U CÚLE MOSTRE! “– (Traduzione: Chi si inchina troppo, mostra il sedere)
A Lucera non si dice “Sono affetto da una infiammazione al braccio” ma si dice
– “S’È SDIGNATE U VRAZZE” – (Traduzione: Ho il braccio addolorato)
A Lucera non si dice “Cerca la maniera per venirne fuori senza conseguenze” ma si dice
– “SE NE VOLE ASSCÌ C’A MAGLJE DE MÍZZE “ – (Traduzione: Se ne vuole uscire con la maglia di mezzo)
A Lucera non si dice “Non ce la faccio più a sopportarlo ” ma si dice
– “ME FACE SÈMBE ASSCÍ L’ÀNEME DA NGÚRPE “ – (Traduzione: Mi fa uscire l’anima dal corpo)
A Lucera non si dice “Mi ha stancato a forza di parlare dello stesso argomento” ma si dice
– “ ‘M’À FATTE VENÌ NU UAJÓNE ‘NGAPE “ – (Traduzione: Mi ha fatto venire un mal di testa)
A Lucera non si dice “È una persona che vuol far credere di sapere tutto, interviene su tutto” ma si dice
– “SE MÈTTE SÈMBE CAZZE-CAZZE AMMIZZE”– (Traduzione: Si mette sempre inopportunamente in mezzo)
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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