“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 308
A Lucera non si dice “Nella vita, a ogni difficoltà ne segue subito un’altra “ ma si dice
– “VÚNE SPONDE E N’AVÈTE AMMATÚRE “ – (Traduzione: Una spunta e un’altra sta maturando
A Lucera non si dice “Ha dimostrato grande avarizia” ma si dice
– “À FFÀTTE U SFORZE“ – (Traduzione: Ha fatto lo sforzo)
A Lucera non si dice “Le cose ottenute facilmente stancano subito” ma si dice
– “U PANE D’A CASE VÉNE SÙBBETE A STÚFFE “ – (Traduzione: Il pane di casa viene subito a noia )
A Lucera non si dice “A ciascuno il suo” ma si dice
– “L’ÀNEME A DDJE E A RROBBE A CHI TOCCHE – (Traduzione: : L’anima a Dio e la roba a chi tocca)
A Lucera non si dice “Povero te che subisci tante avversità” ma si dice
– “MAR’A NDÒ ZÚPPE!” – (Traduzione: Guai dove urti!)
A Lucera non si dice “È in brutte condizioni psicologiche” ma si dice
– “TÉNE L’ ÓVE ‘NGROCE “– (Traduzione: Ha le uove in croce)
A Lucera non si dice “Le persone più insospettabili mettono zizzania” ma si dice
– “CHI MANGHE TU CRÍDE, APPÍCCE I FFÚCHE” – (Traduzione: Da chi non te lo l’aspetti, accende i fuochi)
A Lucera non si dice “Non avendo nulla da fare, passeggia continuamente” ma si dice
– “PARE NU STRACQUACHIAZZE “ – (Traduzione: Sembra un vagabondo)
A Lucera non si dice “È una persona che non si sazia mai” ma si dice
– “ÉJE NU MOTOFRECÓNE “ – (Traduzione: E’ uno sempre con la bocca in movimento )
A Lucera non si dice “ Spesso avviene lo scontro tra il Favonio vento tiepido e le correnti della Bora più fredde ma si dice
– “FAVÚGNE ÉJE NU SÈNZA VRAZZE PECCHÈ A VÒRIJE CE L’À STUCCATE”– (Traduzione: Favonio è senza braccia perché la Bora glieli ha staccati)
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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