“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 304
A Lucera non si dice “Per vivere bene bisogna saper accettare sia i piaceri della vita sia le avversità “ ma si dice
– “QUANN’È DOCE SE ZUCHE, QUANN’È AMARE SE SPUTE “ – (Traduzione: Quando è dolce si succhia, quando è amaro si sputa)
A Lucera non si dice “Il malvagio, il traditore viene scansato da tutti” ma si dice
– “ÀNEMA TÈNDE, NISSCIÚNE A VÓLE “ – (Traduzione: L’anima cattiva , nessuna la vuole)
A Lucera non si dice “Ha perso il favore e la stima degli altri” ma si dice
– “È CADÚTE DA SÓPE U CIUCCE” – (Traduzione È caduto da sopra all’asino)
A Lucera non si dice “A causa di un raffreddore o per la congiuntivite ha gli occhi arrossati” ma si dice
– “ASSEMÈGGHIE A STELLÚZZE CHE L’ÚCCHIE RUSSCE” – (Traduzione: Sembra Stelluzze con gli occhi rossi ) – Nb: Stelluzze, era un popolano che aveva gli occhi cisposi, per una malattia che gli aveva ridotto di molto la capacità visiva. Girava per le strade per vendere la sua poca merce, raccolta in una cassetta che si reggeva con una cordicella trattenuta dal collo: pettini (pèttene e pettenèsse), i nastri (i capesciole), cotone e seta (i rucchette, i spagnulètte), spilli e crema per le scarpe (‘a crummatíne)”
A Lucera non si dice “Ha una situazione economica tutt’altro che florida” ma si dice
– “NTENÈ MANGHE ‘NA MAGLJE “– (Traduzione: Non tiene neanche una maglia)
A Lucera non si dice “Mi ha risposto a muso duro” ma si dice
– “M’À DDATE ‘NA RESPOSTE ATTERRÈNDE ATTERRÈNDE” – (Traduzione Mi ha dato una risposta molto dura )
A Lucera non si dice “Si è caricato di pacchi, pacchetti, borse e quant’altro, cercando di portarli a destinazione con non poca fatica” ma si dice
– “ME PARE CIUCCE CARRUZZE “ – (Traduzione: Sembra un asino stracarico)
A Lucera non si dice “È una intermediaria di incontri e di rapporti amorosi equivoci” ma si dice
– “FACE ‘A MANTENACAPE “ – (Traduzione: Fa la ruffiana)
A Lucera non si dice “È il declino di una persona in tutti i sensi “ ma si dice
– “À FFATTE ‘A FÍNE SSCIALLÈTTE”– (Traduzione: Ha fatto la fine di Scialletta)
A Lucera non si dice “Anche la persona più equilibrata può perdere il senso della ragione” ma si dice
– “PURE U MÉGGHJE VÍNE SE NE VACE D’ACÍTE “ – (Traduzione: Anche il vino migliore diventa aceto)
———————————————————————————————————————-
LINO MONTANARO E LINO ZICCA, ECCO IL NUOVO LIBRO
Ci siamo! Finalmente la tipografia Grafiche Catapano ha finito di stampare il nuovo libro di Lino Montanaro & Lino Zicca: “LUCERA DI UNA VOLTA ” che raccoglie oltre 120 brani di storia sommersa relativi a modi di dire, usanze, credenze, che riguardano pratiche religiose, usanze del ciclo della vita, pratiche e forme di magia, valore e svolgimento di feste religiose e civili, metodi per prevedere il tempo durante tutto l’arco dell’anno, scuola, personaggi, luoghi, giochi ed altro della Lucera di una volta.
Com’è possibile prenotarlo?
Il libro è disponibile presso Libreria Catapano in Viale Dante Alighieri, 1 a Lucera. E’ anche possibile prenotarlo direttamente da questa pagina, inviando un’email a: montanaro.lino@libero.it
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
[LINO MONTANARO BIOGRAFIA E PUBBLICAZIONI PRECEDENTI]