“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 295
A Lucera non si dice “Era una persona iperattiva che lavorava e agiva senza soste “ ma si dice
– “MENAVE U MÚNNE ‘NDERRE E PO’ U ‘MBALAVE N’ATA VOTE PE L’ÀRJE “ – (Traduzione: Buttava il mondo per terra e poi lo innalzava nuovamente in aria)
A Lucera non si dice “Se vuoi seriamente fidanzarti con me, devi chiedere il consenso di mia madre” ma si dice
– “SE TÍNE ‘NDENZIÓNE DI FÁ I FATTE SÈREJE, VÍNE DA MAMMÀ” – (Traduzione: Se vuoi fare i fatti seri, devi venire da mammà)”
A Lucera non si dice “Da quella persona non si ottiene nulla” ma si dice
– “CHE QUILLE N’ZE CHIAGNE “ – (Traduzione: Con quello non si piange)
A Lucera non si dice “Che termini triviali vengono pronunciate da talune persone!” ma si dice
– “CHE RESCKAROLE CHE AÈSSCENE DA CÈRTE VOCCHE!” – (Traduzione: Quante parolacce escono da certe bocche!)
A Lucera non si dice “Mi ha stufato con le sue continue lamentele, vattene! –” ma si dice
– “M’È PROPEJE SCIACCANATE, ME PARE MILL’ANNE CHE TE NE VAJE!” – (Traduzione: Mi hai proprio scocciato, mi sembrano mille anni e no ancora te ne vai!)
A Lucera non si dice “Non ti riesci a liberare di lui, tenta con caparbia di raggiungere lo scopo prefissato” ma si dice
– “ÉJE ‘NA SPINA TRAPANANDE, SE MÈTTE NDE RÈCCHJE C’A CAPE E C’U PENZÍRE “ – (Traduzione: È una spina pungente, si mette nelle orecchie con la testa e con il pensiero)
A Lucera non si dice “Vuole fare ogni cosa subito, all’istante” ma si dice
– “ASSEMÈGGHJE A CCACHIZZE “ – (Traduzione: Somiglia a Cachizze, popolano con la fama di andare sempre di fretta)
A Lucera non si dice “La soluzione del problema è fin troppo evidente” ma si dice
– “A QQUÀ ’NGE VOLE ‘A ZINGHÉRE” – (Traduzione: Qui non c’è bisogno della zingara)
A Lucera non si dice “È uno sfruttatore delle sfortune altrui” ma si dice
– “ÉJE CÚM’E ‘NA MOSCA CAVALLÍNE” – (Traduzione E’ come la mosca cavallina)
A Lucera non si dice “È un matrimonio fra due persone assolutamente prive di possibilità economiche” ma si dice
– “SE SPOSE MARÈSSE E SE PIGGHJE A MARÌSSE, POVERE I FIGGHJE CA VÈNENE APPRÌSSE “ – (Traduzione: (Maresse sposa Marisse, poveri i figli che verranno)
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LINO MONTANARO E LINO ZICCA, ECCO IL NUOVO LIBRO
Ci siamo! Finalmente la tipografia Grafiche Catapano ha finito di stampare il nuovo libro di Lino Montanaro & Lino Zicca: “LUCERA DI UNA VOLTA ” che raccoglie oltre 120 brani di storia sommersa relativi a modi di dire, usanze, credenze, che riguardano pratiche religiose, usanze del ciclo della vita, pratiche e forme di magia, valore e svolgimento di feste religiose e civili, metodi per prevedere il tempo durante tutto l’arco dell’anno, scuola, personaggi, luoghi, giochi ed altro della Lucera di una volta.
Com’è possibile prenotarlo?
Il libro è disponibile presso Libreria Catapano in Viale Dante Alighieri, 1 a Lucera. E’ anche possibile prenotarlo direttamente da questa pagina, inviando un’email a: montanaro.lino@libero.it
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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