“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 294
A Lucera non si dice “Esce sempre da ogni situazione senza subire danni “ ma si dice
– “ÉJE CÚM’A GÁTTE, CADE SÈMBE CH’I PÍDE NDÈRRE “ – (Traduzione: È come il gatto, cade sempre in piedi)
A Lucera non si dice “Finalmente ti fai vivo, è una visita dopo tanto tempo” ma si dice
– “VÌJATE A CCHI SE VÉDE, MÒ VUTAME I SÈGGE DA CAPESÒTTE” – (Traduzione: Beato chi si vede, adesso giriamo le sedie al rovescio)”
A Lucera non si dice “Questo è un argomento ripetuto in modo monotono, fino alla noia” ma si dice
– “MÒ S’ARRECORDE ‘A MORTE ZI BBIASE “ – (Traduzione: Adesso si ricorda della morte di Zio Biagio)
A Lucera non si dice “Corre ai ripari quando è già troppo tardi” ma si dice
– “DOPPE CHJUPPETE T’ACCATTE U MBRÈLLE” – Traduzione: (Dopo che ha piovuto ti compri l’ombrello)
A Lucera non si dice “Adesso mi incazzo sul serio! ” ma si dice
– “TE ROMBE TUTTE L’OSSERE E TI MÈTTE MMANE!” – (Traduzione: Ti rompo tutte le ossa e te le metto in mano!)
A Lucera non si dice “Sono persone imparentate non direttamente, come suoceri, generi, nuore e cognati” ma si dice
– “SÒ CARNE AGGIÙNDE “ – (Traduzione: Sono carne aggiunta)
A Lucera non si dice “È una persona che ha sempre voglia di dormire” ma si dice
– “L’A MUZZECÁTE ‘A MOSCA TZÈ TZÈ “ – (Tradzione: Lo ha punto la mosca tzè tzè)
A Lucera non si dice “È qualcosa di delizioso” ma si dice
– “SE SQUAGGHJE MMOCCHE” – (Traduzione: Si scioglie in bocca)
A Lucera non si dice “Giunta a tarda età, fa finta di dimenticare il proprio passato” ma si dice
– “S’È FFATTA VÉCCHJE E S’È LLUNGATE U ZENALE” – (Traduzione: si è fatta vecchia e si è allungato il grembiule)
A Lucera non si dice “Non ti sei fatto più vedere? ma si dice
– “CHE T’È FFATTE STRANEJE? “ – (Traduzione: Che sei diventato un estraneo?)
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LINO MONTANARO E LINO ZICCA, ECCO IL NUOVO LIBRO
Ci siamo! Finalmente la tipografia Grafiche Catapano ha finito di stampare il nuovo libro di Lino Montanaro & Lino Zicca: “LUCERA DI UNA VOLTA ” che raccoglie oltre 120 brani di storia sommersa relativi a modi di dire, usanze, credenze, che riguardano pratiche religiose, usanze del ciclo della vita, pratiche e forme di magia, valore e svolgimento di feste religiose e civili, metodi per prevedere il tempo durante tutto l’arco dell’anno, scuola, personaggi, luoghi, giochi ed altro della Lucera di una volta.
Com’è possibile prenotarlo?
Il libro è disponibile presso Libreria Catapano in Viale Dante Alighieri, 1 a Lucera. E’ anche possibile prenotarlo direttamente da questa pagina, inviando un’email a: montanaro.lino@libero.it
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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