“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 293
A Lucera non si dice “È una persona dotata di grande intelligenza “ ma si dice
– “TÉNE QUATTE VERSÚRE DE CEREVÈLLE “ – (Traduzione: Ha quattro versure (unità di misura di superficie agraria) di cervello)
A Lucera non si dice “Non pensare di avere a che fare con un fessacchiotto” ma si dice
– “VACCIU CCUNDE E’ FÈSSE!” – (Traduzione: Vallo a raccontare ai fessi!)”
A Lucera non si dice “Dobbiamo subire con rassegnazione questa mortificazione” ma si dice
– “FACÌME ‘STU PÍDE SCAVEZE!” – (Traduzione: Facciamo questo piede scalzo!)
A Lucera non si dice “La pasta è stata fatta cuocere troppo a lungo” ma si dice
– “ ‘A PASTE S’È FFATTE A QUAGGHJARÈLLE” – Traduzione: (La pasta è diventata una poltiglia)
A Lucera non si dice “Attacca sempre lite con tutti, ma per lui finisce sempre male” ma si dice
– “ÉJE NU PIZZECALÌTE E PARACCANNÀLE” – (Traduzione: È un attabrighe ma prende sempre schiaffi)
A Lucera non si dice “Vive alle spalle di qualcuno” ma si dice
– “TÉNE ‘A MENNÚZZE “ – (Traduzione: Beve da una mammella)
A Lucera non si dice “Dobbiamo rimanere senza un briciolo di dignità?” ma si dice
– “C’IMA MÈTTE A VOCCHE D’I GGÈNDE? “ – (Traduzione: Dobbiamo finire sulla bocca della gente?)
A Lucera non si dice “Ostenta un’eleganza appariscente” ma si dice
– “FACE ‘A MAFFEJE” – (Traduzione: Fa bella mostra)
A Lucera non si dice “Ti punirò severamente per quello che hai fatto” ma si dice
– “T’AGGHJA FA CACÀ L’ÚVE E L’ÀCENE” – (Traduzione Ti farò defecare il grappolo d’uva e l’acino)
A Lucera non si dice “È una donna poco avvenente, ma che si dà delle arie
– “ASSEMÈGGHJE U CÚLE D’A TIJÈLLE “ – (Traduzione: Sembra il fondo del tegame)
———————————————————————————————————————-
LINO MONTANARO E LINO ZICCA, ECCO IL NUOVO LIBRO
Ci siamo! Finalmente la tipografia Grafiche Catapano ha finito di stampare il nuovo libro di Lino Montanaro & Lino Zicca: “LUCERA DI UNA VOLTA ” che raccoglie oltre 120 brani di storia sommersa relativi a modi di dire, usanze, credenze, che riguardano pratiche religiose, usanze del ciclo della vita, pratiche e forme di magia, valore e svolgimento di feste religiose e civili, metodi per prevedere il tempo durante tutto l’arco dell’anno, scuola, personaggi, luoghi, giochi ed altro della Lucera di una volta.
Com’è possibile prenotarlo?
Il libro è disponibile presso Libreria Catapano in Viale Dante Alighieri, 1 a Lucera. E’ anche possibile prenotarlo direttamente da questa pagina, inviando un’email a: montanaro.lino@libero.it
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
[LINO MONTANARO BIOGRAFIA E PUBBLICAZIONI PRECEDENTI]