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Dialettando 285 – Modi di dire Lucerini

lino-montanaro“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.

DIALETTANDO 285

A Lucera non si dice “È sempre lì ad infastidirci” ma si dice
– “PARE CHE TÌNIME U CHIANDÓNE A ‘MBACCE ‘A PORTE “ – (Traduzione: Sembra di avere il piantone vicino alla porta)

A Lucera non si dice “Ha deciso di mettere il broncio!” ma si dice
– “ME PARE NU PÚRCHE NGRUGNATE! “ – (Traduzione: Mi sembra un maiale arrabbiato!)

A Lucera non si dice “Certe cose non le fa in tempi normali figuriamoci all’improvviso!” ma si dice
– “NN’U FACE A NTÌMBE DE PACE, U PÓTE FFÀ A NTÌMBE DE GUÈRRE?” – (Traduzione: Non le fa in tempo di pace, è possibile che le faccia in tempo di guerra?)

A Lucera non si dice “Oggi per me è festa!” ma si dice
– “ÓGGE TULÉTTE, STRUSSCE, MAGNAMÍNDE A CCASSCÈTTE!” – (Traduzione: Oggi vestito nuovo, struscio e mangiare a sbafo)”

A Lucera non si dice ” Siamo arrivati alla parte più difficile dell’opera” ma si dice
– “E SÍME ARREVATE A O!” – (Traduzione: E siamo arrivati alla o!)

A Lucera non si dice “Anche le persone insospettabili, possono cadere in tentazione” ma si dice
– “‘A CCASIONE FACE L’OME MARIJULE “ – (Traduzione: L’occasione fa l’uomo ladro)

A Lucera non si dice “Non me ne va bene una” ma si dice
– “STÉNGHE MURÈNNE A ONZA, A ONZE” – (Traduzione: Sto morendo lentamente)

A Lucera non si dice “Calmati, altrimenti potrei farti del male” ma si dice
– “STATTE CUJÉTE, SENNÒ FENÈSSCE A FÍTE” – Traduzione: (Stai quieto, altrimenti finisce a brutto)

A Lucera non si dice “C’è chi lavora e chi sfrutta il lavoro degli altri “ ma si dice
– “ROCCHE FATÍGHE E PEZZECATE MAGNE “ – (Traduzione: Rocco lavora e Pezzecata mangia)

A Lucera non si dice “Non credere di passarla liscia e fottermi” si dice
– “ ‘T’AGGHJA JÌ ND’U STÌCCHJE “ – (Traduzione: Ti devo andare nel sedere)

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COPERTINALINO MONTANARO E LINO ZICCA, ECCO IL NUOVO LIBRO

Ci siamo! Finalmente la tipografia Grafiche Catapano ha finito di stampare il nuovo libro di Lino Montanaro & Lino Zicca: “LUCERA DI UNA VOLTA ” che raccoglie oltre 120 brani di storia sommersa relativi a modi di dire, usanze, credenze, che riguardano pratiche religiose, usanze del ciclo della vita, pratiche e forme di magia, valore e svolgimento di feste religiose e civili, metodi per prevedere il tempo durante tutto l’arco dell’anno, scuola, personaggi, luoghi, giochi ed altro della Lucera di una volta.

Com’è possibile prenotarlo?

Il libro è disponibile presso Libreria Catapano in Viale Dante Alighieri, 1 a Lucera. E’ anche possibile prenotarlo direttamente da questa pagina, inviando un’email a: montanaro.lino@libero.it

 

REGOLE DI PRONUNCIA

Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.

1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).

2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).

3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).

4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.

5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).

6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).

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