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21 Novembre 2024
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Dialettando 279 – Modi di dire Lucerini

realizzazione siti web Lucera

lino-montanaro“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.

DIALETTANDO 279

A Lucera non si dice “La donna che allatta avverte sempre la necessità di mangiare” ma si dice – “FÈMMENA CH’ALLATTE, MAGNE CÚME ‘NA VACCHE “ – (Traduzione: Donna che allatta mangia come una mucca)

A Lucera non si dice “Non intrometterti in argomenti di cui non hai competenza” ma si dice
– “PETTÒ, VA PÍTTE “ – (Traduzione: : Pittore vai a pitturare)•

A Lucera non si dice “A volte capita di fare un piacere a qualcuno che ha persino da ridire” ma si dice
– “DOPPE CHE È DITTE SÌ E DÌ PURE SISSIGNÓRE” – (Traduzione: Dopo che hai detto si, devi dire pure sissignore)

A Lucera non si dice “Di ogni cosa che fai, chiediti sempre se e come potresti migliorarla” ma si dice
“SCKITTE CHI CÓSE E SCÓSE ADDEVENDE MAJÉSTRE” – (Traduzione: Solo cucendo e scucendo diventi maestro)”

A Lucera non si dice ” Non lo molla mai” ma si dice
– “NN’U LÀSSA NNÉ DE PÉDE, NNÉ DE PEDATE” – (Traduzione: : Non gli lascia il piede ne la sua pedata)

A Lucera non si dice “Solo Dio è equo nel dare a ciascuno il suo” ma si dice
– “GGÈSE CRISTE SAPE A CHI DA DDÀ I UÀJE “ – (Traduzione: Gesù Cristo sa a chi dare i guai)

A Lucera non si dice “Sono stati sottoposti a un logoramento continuato e intenso” ma si dice
– “L’ÀNNE FATTE TACCHE E CHJUUVE” – (Traduzione: Gli hanno fatto tacchi e chiodi)

A Lucera non si dice “Lo sciocco parla sempre più del dovuto” ma si dice
– “CCHJÙ ‘A CAPE È VACANDE, CCHJÙ ‘A LÈNGHE È LONGHE” – Traduzione: (Più la testa è vuota, più la lingua è lunga)

A Lucera non si dice “Intendere in maniera errata quello che si ascolta “ ma si dice
– “PEGGHJÀ ACCE PE PPUTRUSINE “ – (Traduzione: Scambiare il sedano per il prezzemolo)

A Lucera non si dice “Ci vorrebbe un intervento provvidenziale, risolutivo si dice
– “AVARRISSE FÀ ACQUE STUTATE U FÚCHE “ – (Traduzione: Dovrebbe essere acqua che spegne il fuoco)

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COPERTINALINO MONTANARO E LINO ZICCA, ECCO IL NUOVO LIBRO

Ci siamo! Finalmente la tipografia Grafiche Catapano ha finito di stampare il nuovo libro di Lino Montanaro & Lino Zicca: “LUCERA DI UNA VOLTA ” che raccoglie oltre 120 brani di storia sommersa relativi a modi di dire, usanze, credenze, che riguardano pratiche religiose, usanze del ciclo della vita, pratiche e forme di magia, valore e svolgimento di feste religiose e civili, metodi per prevedere il tempo durante tutto l’arco dell’anno, scuola, personaggi, luoghi, giochi ed altro della Lucera di una volta.

Com’è possibile prenotarlo?

Il libro è disponibile presso Libreria Catapano in Viale Dante Alighieri, 1 a Lucera. E’ anche possibile prenotarlo direttamente da questa pagina, inviando un’email a: montanaro.lino@libero.it

 

REGOLE DI PRONUNCIA

Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.

1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).

2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).

3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).

4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.

5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).

6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).

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