“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 276
A Lucera non si dice “È una persona lentissima quando c’è da eseguire qualcosa” ma si dice
– “E CHE SORTE DE CÚLE APPÍSE! “ – (Traduzione: E’ un sedere moscio!)
A Lucera non si dice “Anche se tutto congiura contro, lo devi accettare” ma si dice
– “ÉJE AMARE E L’AJA GNOTTE “ – (È amaro, ma lo devi ingoiare)
A Lucera non si dice “Ti auguro fortemente che possa colpirti una dissenteria mortale” ma si dice
– “CHE TE POZZA VENÌ ‘NA CACARÈLLA MALÍGNE!” – (Traduzione: Che ti possa venire una diarrea fatale)
A Lucera non si dice “È diventato troppo magro” ma si dice
– “U VÉDE SCULATE SCULATE ” – (Traduzione: Lo vedo troppo deperito) •
A Lucera non si dice “Il suo comportamento mi irrita” ma si dice
– “MI FACE SÈMBE SEMOVE ‘A NERVATÚRE” – (Traduzione: Mi fa sempre innervosire)
A Lucera non si dice “Non essere in condizioni fisiche ottimali” si dice
– “STÀ NU BBÈLLE POCHE AMMACCATE “ – (Traduzione: Sta un bel poco acciaccato)
A Lucera non si dice “Spesso succede che si da priorità alle esigenze altrui, tralasciando le proprie” ma si dice
– “U SCARPARE P’I SCARPE ROTTE, U VAREVÍRE C’A VARVA ‘MBACCE, U CHESETÓRE C’U CAVEZÓNE STRAZZATE” – (Traduzione: Il calzolaio con le scarpe sfondate, il barbiere con la barba non fatta, il sarto con il calzone strappato)
A Lucera non si dice “Avere l’ingrato compito di comunicare una brutta notizia” ma si dice
– “JÌ P’I VEDÈLLE MBRAZZE” – Traduzione: (Andare con le budella in braccio)
A Lucera non si dice “Un matrimonio malriuscito rovina la vita “ ma si dice
– “MÈGGHJE MBÍSE CHE MALE NZURATE“ – (Traduzione: Meglio impiccato che male sposato)
A Lucera non si dice “È un disoccupato perenne “ ma si dice
– “QUILLE CANDE SÈMBE U DIASILLE“ – (Traduzione: Quello canta sempre l’inno dei morti)
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LINO MONTANARO E LINO ZICCA, ECCO IL NUOVO LIBRO
Ci siamo! Finalmente la tipografia Grafiche Catapano ha finito di stampare il nuovo libro di Lino Montanaro & Lino Zicca: “LUCERA DI UNA VOLTA ” che raccoglie oltre 120 brani di storia sommersa relativi a modi di dire, usanze, credenze, che riguardano pratiche religiose, usanze del ciclo della vita, pratiche e forme di magia, valore e svolgimento di feste religiose e civili, metodi per prevedere il tempo durante tutto l’arco dell’anno, scuola, personaggi, luoghi, giochi ed altro della Lucera di una volta.
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Il libro è disponibile presso Libreria Catapano in Viale Dante Alighieri, 1 a Lucera. E’ anche possibile prenotarlo direttamente da questa pagina, inviando un’email a: montanaro.lino@libero.it
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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