“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 267
A Lucera non si dice “C’è solo un sottilissimo limite fra la ragione e la pazzia” ma si dice
– “‘A CAPE ÉJE ‘NA CÓSA DELECATE“ – Traduzione: (La mente è qualcosa di delicato)
• A Lucera non si dice “Si erano tanto amati, ora si odiano” ma si dice
– “TANDE D’AMÓRE E TANDE DE SDÉGNE“– (Traduzione: Tanto amore e tanto sdegno)
A Lucera non si dice “La verità spesso fa male” ma si dice
– “CHE TE VANNE I SCARPE STRÉTTE?” – (Traduzione: Forse ti vanno le scarpe strette?)
A Lucera non si dice “Nelle catastrofi c’è sempre chi ne approfitta per arricchirsi” ma si dice
– “GUÈRRE, TARRAMÚTE E PPÈSTE, CHI SE SPOGGHJE E CHI SE VÈSTE“ – (Traduzione: Guerra, terremoti e
peste, chi si spoglia e chi si veste)
A Lucera non si dice “Il Paradiso bisogna meritarselo!” ma si dice
– “MPARAVISE ‘NZE VACE‘NCARROZZE!” – (Traduzione: In Paradiso non si va in carrozza)
A Lucera non si dice “Ho mangiato troppo, mi sento appesantito“ ma si dice
– “TÉNGHE U STÓMECHE ‘NGHJEMMÚSE“ – (Traduzione: Ho lo stomaco di piombo)
A Lucera non si dice “Quel ragazzo sta crescendo eccessivamente in altezza!” ma si dice
– “MA QUILLU UAGLJÓNE ADDA JÌ A PPARLÀ CHE CCRISTE?” – (Traduzione: Ma quel ragazzo deve andare a parlare con Cristo?).
A Lucera non si dice “È capace di prestare attenzione a più cose nello stesso momento” ma si dice
– “TÉNE N’ÚCCHJE O PÈSSCE E N’AVÈTE A’ FREZZOLE” – Traduzione: (Tiene un occhio al pesce e l’altro alla padella)
A Lucera non si dice “Sono persone che non riescono a stare più di un certo tempo nello stesso posto“ ma si dice
– “ ‘A PRÉTE CHE ROCELE NEN FÀ NNÚSCHE“ – (Traduzione: La pietra che rotola non fa muschio)
A Lucera non si dice “Lavoro duramente senza vivere dignitosamente” ma si dice
– “FATÍGHE, FATÍGHE, MA SÈMBE SCAVEZE VACHE!“- (Traduzione: Lavoro, lavoro ma sempre scalzo vado)
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LINO MONTANARO E LINO ZICCA, ECCO IL NUOVO LIBRO
Ci siamo! Finalmente la tipografia Grafiche Catapano ha finito di stampare il nuovo libro di Lino Montanaro & Lino Zicca: “LUCERA DI UNA VOLTA ” che raccoglie oltre 120 brani di storia sommersa relativi a modi di dire, usanze, credenze, che riguardano pratiche religiose, usanze del ciclo della vita, pratiche e forme di magia, valore e svolgimento di feste religiose e civili, metodi per prevedere il tempo durante tutto l’arco dell’anno, scuola, personaggi, luoghi, giochi ed altro della Lucera di una volta.
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Il libro è disponibile presso Libreria Catapano in Viale Dante Alighieri, 1 a Lucera. E’ anche possibile prenotarlo direttamente da questa pagina, inviando un’email a: montanaro.lino@libero.it
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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