“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 259
A Lucera non si dice “Ha l’abitudine di portare con se tutto ciò che possiede” ma si dice
– “ASSEMÈGGHJE U BBABBE C’A PORTA ‘NGÚLLE“ – (Traduzione: Sembra lo scemo con la porta sulle spalle)
A Lucera non si dice “Da l’impressione di essere sempre in attesa di qualcuno“ ma si dice “PARE CHE FACE SÈMBE U PESTEGLJÓNE“ – (Traduzione: Sembra che faccia sempre il piantone)
A Lucera non si dice “Non sa veramente di niente, riferito sia a una persona che a una pietanza” ma si dice
– “NTÉNE NNÉ MÓRE, NNÉ SAPÓRE– (Traduzione: Non ha né gusto, né sapore)
A Lucera non si dice “Sono due persone con le stesse idee” ma si dice
– “VÚNA FACCE, VÚNA RAZZE “– (Traduzione: Unico viso, unica razza)
A Lucera non si dice “Mangia sempre avidamente e molto” ma si dice
– “QUILL’ÉJE NU CÚRPE SCUSTUMATE” – (Traduzione: E’ una persona che mangia senza regole)
A Lucera non si dice “Si ha una sola vita, pertanto, è meglio godersela“ ma si dice
– “MÈGGHJE MURÌ SAZEJE CHE CAMBÀ ADDEJÚNE“ – (Traduzione: Meglio morire sazio che vivere digiuno)
A Lucera non si dice “Anche la persona all’apparenza perfetta ha sempre qualche difetto” ma si dice
– “A‘ ZITE È BBÈLLE, MA I MANGHE N’ÚCCHJE” – (Traduzione: La ragazza è bella, ma gli manca un occhio)
A Lucera non si dice “Levante è un vento fresco e umido, portatore di nebbia e precipitazioni” ma si dice
– “QUANNE TÍRE LEVANDE D’ACQUA NNE VÉNE TANDE” – (Traduzione: Quando spira Levante, di acqua ne viene tanta)
A Lucera non si dice “È meglio lasciare di se un buon ricordo che godere di una pessima reputazione“ ma si dice
– “È MÈGGHJE LASSÀ ‘A DDORE CHE U FÍTE” – (Traduzione: È meglio lasciare un profumo che un cattivo odore)
A Lucera non si dice “Hai l’abitudine di eccedere nel bere?” ma si dice
– “CATARINA PADUUANE, QUANDA VOTTE È MISSE A MMANE? “ – (Traduzione: Caterina Padovano, quante botti hai iniziato?)
———————————————————————————————————————-
LINO MONTANARO E LINO ZICCA, ECCO IL NUOVO LIBRO
Ci siamo! Finalmente la tipografia Grafiche Catapano ha finito di stampare il nuovo libro di Lino Montanaro & Lino Zicca: “LUCERA DI UNA VOLTA ” che raccoglie oltre 120 brani di storia sommersa relativi a modi di dire, usanze, credenze, che riguardano pratiche religiose, usanze del ciclo della vita, pratiche e forme di magia, valore e svolgimento di feste religiose e civili, metodi per prevedere il tempo durante tutto l’arco dell’anno, scuola, personaggi, luoghi, giochi ed altro della Lucera di una volta.
Com’è possibile prenotarlo?
Il libro è disponibile presso Libreria Catapano in Viale Dante Alighieri, 1 a Lucera. E’ anche possibile prenotarlo direttamente da questa pagina, inviando un’email a: montanaro.lino@libero.it
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
[LINO MONTANARO BIOGRAFIA E PUBBLICAZIONI PRECEDENTI]