“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 254
A Lucera non si dice “Un torto, uno sgarbo spesso viene ricambiato con gli interessi” ma si dice
– “CHI MÈNE PPRÉTE, S’ABBUSCKE PPESCÚNE “ (Traduzione: Chi butta pietre prende massi)
A Lucera non si dice “Si comporta freddamente nei miei confronti “ma si dice
– “PARE CHE L’AGGHJE ACCÍSE U FIGGHJE ND’A NACHE “(Traduzione: Sembra che gli abbia ucciso il figlio nella culla)
A Lucera non si dice “È stato un cattivo affare” ma si dice
– “L’È VVENÚTE CURTE U VESTÍTE” (Traduzione: Gli è venuto corto il vestito)
A Lucera non si dice “Ha subito troppi tradimenti!” ma si dice
– “TÉNE ‘A COCCE CÚM’E ‘NA CÈSTE DE CIAMMARÚCHE “(Traduzione: Ha la testa come una cesta di lumache)
A Lucera non si dice “Tutti i guai sono suoi” ma si dice
– “QUILLE TÉNE ‘A RÚGNE, ‘A TÍGNE E ‘A COCCE DE MÚRTE ” (Traduzione: Quello ha la rogna, la tigna e la testa pelata)
A Lucera non si dice “Ma veramente pensi che io sia un ingenuo, da gabbare facilmente?“ ma si dice
– “GGEVENÒ, CHE TE CRÍDE CHE ÍJE SSCÉNNE D’A MUNDAGNE? “(Traduzione: Ma tu credi che io scenda dalle montagne? )
A Lucera non si dice “È una persona che non presta attenzione a ciò che fa” ma si dice
– “TENÈVE U CIUCCE P’A CAPÉZZE, E U JÉVE TRUUANNE P’I PEDATE” (Traduzione: Aveva l’asino per la cavezza e lo cercava seguendo le orme)
A Lucera non si dice “La terra va valutata punto per punto, le persone vanno valutate secondo le loro qualità e i loro pregi” ma si dice “
– ‘A TÈRRE SE MESÚRE A PPALME, I CRESTIJANE A ONZE“ (Traduzione: La terra si misura a palmi, le persone a once)
A Lucera non si dice “I temporali a giugno danneggiano i raccolti“ ma si dice
– “ACQUE DE GGIUGNE ARRUINE U MÚNNE” (Traduzione: I temporali di giugno rovinano il mondo )
A Lucera non si dice “Sono persone che sistemano le cose sempre a proprio favore” ma si dice
– “CHI GGÈRE ’A TIJÈLLE, S’ALÈCCHE ‘A CUCCHJARE“(Traduzione: Che gira il tegame, si lecca il mestolo)
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LINO MONTANARO E LINO ZICCA, ECCO IL NUOVO LIBRO
Ci siamo! Finalmente la tipografia Grafiche Catapano ha finito di stampare il nuovo libro di Lino Montanaro & Lino Zicca: “LUCERA DI UNA VOLTA ” che raccoglie oltre 120 brani di storia sommersa relativi a modi di dire, usanze, credenze, che riguardano pratiche religiose, usanze del ciclo della vita, pratiche e forme di magia, valore e svolgimento di feste religiose e civili, metodi per prevedere il tempo durante tutto l’arco dell’anno, scuola, personaggi, luoghi, giochi ed altro della Lucera di una volta.
Com’è possibile prenotarlo?
Il libro è disponibile presso Libreria Catapano in Viale Dante Alighieri, 1 a Lucera. E’ anche possibile prenotarlo direttamente da questa pagina, inviando un’email a: montanaro.lino@libero.it
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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