“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 253
A Lucera non si dice “È una persona minuta, ma molto maliziosa” ma si dice
– “PE QUANDE FÈTE S’U MAGNE ‘A TÈRRE“ (Traduzione: Per quanto puzza se lo mangia la terra)
A Lucera non si dice “È una cosa fuori del comune“ ma si dice
– “E’SSCIÚTE PRÈNE SÈNZA CILLE “ (Traduzione: E’ rimasta incinta senza pene)
A Lucera non si dice “Se mi capita fra le mani, lo picchierò di santa ragione” ma si dice
– “SE MME VÉNE NGRAMBE, LÚTEME PIZZE ADDA ÈSSE ‘A RÉCCHJE” (Traduzione: Se mi viene tra le mani, l’ultimo pezzo sarà l’orecchio)
A Lucera non si dice “Una situazione problematica, difficile da accettare” ma si dice
– “A CHI TÉNE ‘A FRÈVE PURE U ZUCCHERE PARE AMARE “ (Traduzione: A chi ha la febbre, anche lo zucchero sembra amaro)
A Lucera non si dice “L’importante è godere di buona salute” ma si dice
– “BBASTE CHE I SCARPE NEN STANNE SÒTT’U LÍTTE” (Traduzione: La cosa importante è che le scarpe non siano sotto il letto)
A Lucera non si dice “È una ragazza fin troppo facile “ma si dice
– “QUÈLLE NN’À ZUMBATE DE FRATTE” (Traduzione: Quella ne ha saltato di siepi)
A Lucera non si dice “Ha sempre un’aria rapita, assente” ma si dice
– “ASSEMÈGGHJE NU SANDE ND’A NICCHJE” (Traduzione: Sembra un santo nella nicchia)
A Lucera non si dice “È proprietario di vasti appezzamenti di terreno” ma si dice
– “QUILLE TÉNE I TÈRRE SPASE O SÓLE “ (Traduzione: Quello ha i terreni stesi al sole)
A Lucera non si dice “La signora si è vestita con eleganza “ma si dice
– “QUÈLLE S’È MISSE NZÚSE” (Traduzione: Quella si è messa su)
A Lucera non si dice “È un fanfarone minaccioso ma innocuo” ma si dice
– “È VÚNE C’A SCKUPPÈTTA CHE NEN FACE MANGHE PRÀ“ (Traduzione: E’ uno con lo scoppietto che non spara mai).
———————————————————————————————————————-
LINO MONTANARO E LINO ZICCA, ECCO IL NUOVO LIBRO
Ci siamo! Finalmente la tipografia Grafiche Catapano ha finito di stampare il nuovo libro di Lino Montanaro & Lino Zicca: “LUCERA DI UNA VOLTA ” che raccoglie oltre 120 brani di storia sommersa relativi a modi di dire, usanze, credenze, che riguardano pratiche religiose, usanze del ciclo della vita, pratiche e forme di magia, valore e svolgimento di feste religiose e civili, metodi per prevedere il tempo durante tutto l’arco dell’anno, scuola, personaggi, luoghi, giochi ed altro della Lucera di una volta.
Com’è possibile prenotarlo?
Il libro è disponibile presso Libreria Catapano in Viale Dante Alighieri, 1 a Lucera. E’ anche possibile prenotarlo direttamente da questa pagina, inviando un’email a: montanaro.lino@libero.it
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
[LINO MONTANARO BIOGRAFIA E PUBBLICAZIONI PRECEDENTI]