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Dialettando 251 – Modi di dire Lucerini

lino-montanaro“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.

DIALETTANDO 251

A Lucera non si dice “Avere la testa fra le nuvole può causare gravi inconvenienti” ma si dice
– “RÈMUS, RÈMUS, CADE E TE RUMBE U MÚSSE“ (Traduzione: Oremus, oremus, cadi e ti rombi il muso)

A Lucera non si dice “Avere un comportamento privo di logica“ ma si dice
– “U PREVESSÓRE VECCHJÓNE JÍJE A MATTÍJE PE NU FÍLE DE PAGGHJE“ ( Traduzione: Il Professor Vecchioni divenne pazzo per un filo di paglia)

A Lucera non si dice “Agisce sempre con calma, senza fretta, pigramente” ma si dice
– “VACE CARIJANNE L’ACQUE P’I MÚRTE” (Traduzione: Trasporta l’acqua per i morti)

A Lucera non si dice “E’ una donna dall’aspetto austero, che si veste con abiti scuri e sobri ”ma si dice
– “ASSEMÈGGHJE A ‘NA CAPEDEPÈZZE“ (Traduzione: Somiglia ad una suora)

A Lucera non si dice “Minaccia al figlio poco studioso” si dice
– “CHE È JÌ VENNÈNNE ‘A CAPESSCIÓLE? ” (Traduzione: Vuoi andare a vendere le fettucce?)

A Lucera non si dice “È vestito in una maniera così dimessa tanto da suscitare derisione “ ma si dice
– “ASSEMÈGGHJE A NU SSCIALDENÒ “ (Traduzione: Sembra una persona trasandata)

A Lucera non si dice “Mi sono fidanzato con lei quando era poco più di una bambina” ma si dice
– “ME L’AGGHJE CRESSCIÚTE A MMANA A MMANE” (Traduzione: “L’ho cresciuta col tempo”.

A Lucera non si dice “È una ragazza spigolosa e scostante” ma si dice
– “ÈFÈSSE E CHE SGRÌBBEJE! “ (Traduzione: Perbacco che ragazza sgarbata!)

A Lucera non si dice “Nella vita bisogna essere intraprendenti “ ma si dice
– “CHI SE MÈTTE SCÚRNE, SE MORE DE FAME” (Traduzione: Chi si vergogna, muore di fame)

A Lucera non si dice “Un crocchio di gente che fa assembramento” ma si dice
– “STANNE FACÈNNE RUTILLE “ (Traduzione: Stanno facendo capannello)

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COPERTINALINO MONTANARO E LINO ZICCA, ECCO IL NUOVO LIBRO

Ci siamo! Finalmente la tipografia Grafiche Catapano ha finito di stampare il nuovo libro di Lino Montanaro & Lino Zicca: “LUCERA DI UNA VOLTA ” che raccoglie oltre 120 brani di storia sommersa relativi a modi di dire, usanze, credenze, che riguardano pratiche religiose, usanze del ciclo della vita, pratiche e forme di magia, valore e svolgimento di feste religiose e civili, metodi per prevedere il tempo durante tutto l’arco dell’anno, scuola, personaggi, luoghi, giochi ed altro della Lucera di una volta.

Com’è possibile prenotarlo?

Il libro è disponibile presso Libreria Catapano in Viale Dante Alighieri, 1 a Lucera. E’ anche possibile prenotarlo direttamente da questa pagina, inviando un’email a: montanaro.lino@libero.it

 

REGOLE DI PRONUNCIA

Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.

1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).

2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).

3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).

4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.

5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).

6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).

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