“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 248
A Lucera non si dice “Spero che tu non ti metta nei guai!” ma si dice
– “ANGÓRA AVÌSSA PPASSÀ CHÈCCHE DDELÓRE DE CAPE! “ – Traduzione: Ancora potresti incorrere in qualche dolore di testa!
A Lucera non si dice “È una persona limpida, trasparente“ ma si dice
– “CÚME TÉNE U CHELÓRE, TÉNE U SAPÓRE“ – Traduzione: Come ha il colore, così ha il sapore
A Lucera non si dice “È una persona che ha senno, dignità, decoro” ma si dice
– “QUILL’ÉJE VÚNE CHE TÉNE ‘A CEREVÈLLE NGAPE” – Traduzione: Quello è uno che ha cervello in testa
A Lucera non si dice “Mi fai proprio perdere la pazienza!” ma si dice
– “MÒ ME FAJE PROPETE VENÌ L’ÁFE“ -Traduzione: Ora mi fai proprio venire rabbia !
A Lucera non si dice ” Dopo il travaso, il vino deve sedimentare per un certo tempo” ma si dice
– “VÍNE TRAMUTATE, PE QUARANDA JJÙRNE MALATE” – Traduzione: Vino tramutato, per quaranta giorni non è buono
A Lucera non si dice “L’uomo esperto non ci casca “ ma si dice
– “ ’MBACCE O’ CANE VÉCCHJE MBUJE DÌ ZU-ZU“ – Traduzione: In faccia a un cane anziano non puoi dire zu-zu.
A Lucera non si dice “E’ tormentato dall’idea del torto ricevuto” ma si dice
– “QUILLE FATTE U TÉNE CHIECATE A LLEBBRÉTTE” – Traduzione: Quell’episodio lo tiene conservato nel libretto
A Lucera non si dice “Non so da dove cominciare; ma che fine farò?” ma si dice
– “ ‘NZACCE ‘NDÒ MÈTTE ‘I MMANE ANNANZE; MÒ A ‘NDÒ AGGHJA JI A SPANNE ‘I PPANNE?” – Traduzione: Non sono da dove mettere le mani davanti , adesso dove devo andare a stendere i panni?
A Lucera non si dice “Tutto sommato, non è successo niente! “ ma si dice
– “A FÍNE I CÚNDE, CH’È MMÚRTE U CIUCCE?” – Traduzione: In fin dei conti, che è morto l’asino?
A Lucera non si dice “I guai non vengono mai da soli” ma si dice
– “RÚGNE, TÍGNE E MALANNATE“ – Traduzione: Rogna, tigna e cattiva annata.
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LINO MONTANARO E LINO ZICCA, ECCO IL NUOVO LIBRO
Ci siamo! Finalmente la tipografia Grafiche Catapano ha finito di stampare il nuovo libro di Lino Montanaro & Lino Zicca: “LUCERA DI UNA VOLTA ” che raccoglie oltre 120 brani di storia sommersa relativi a modi di dire, usanze, credenze, che riguardano pratiche religiose, usanze del ciclo della vita, pratiche e forme di magia, valore e svolgimento di feste religiose e civili, metodi per prevedere il tempo durante tutto l’arco dell’anno, scuola, personaggi, luoghi, giochi ed altro della Lucera di una volta.
Com’è possibile prenotarlo?
Il libro è disponibile presso Libreria Catapano in Viale Dante Alighieri, 1 a Lucera. E’ anche possibile prenotarlo direttamente da questa pagina, inviando un’email a: montanaro.lino@libero.it
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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