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Dialettando 245 – Modi di dire Lucerini

lino-montanaro“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.

DIALETTANDO 245

A Lucera non si dice “Dopo molte e insistenti richieste, è il caso che tiri fuori i soldi!” ma si dice
– “SGANGE I MOMMABBÍJE!
(Traduzione: “ Sgancia i soldi!)

A Lucera non si dice “Le donne, ogni tanto devono ricevere una scossa “ ma si dice
– “ ‘A FÈMMENA ÉJE CÚM’E ‘A LANE, QUANNE NZE VATTE S’AMMATARAZZE
( Traduzione: La donna è come la lana, quando perde la morbidezza)

A Lucera non si dice “Si tratta di persone che non si tengono aggiornate” ma si dice
– “SÒ CAFÚNE CHE FANNE TULÈTTE ‘A DUMENÈCHE
(Traduzione: Sono persone rozze che si vestono a nuovo la domenica)

A Lucera non si dice “Sta abusando troppo della pazienza altrui” ma si dice
– “VACE SCKITTE AGGEMENDANNE ‘A MAZZARÈLLE
(Traduzione: Va solo infastidendo la “mazzarella” – rifimento il bastone di San Giuseppe – )

A Lucera non si dice “Tutti i farmaci hanno delle controindicazioni” ma si dice
– “I MEDECÍNE AGGIÚSTENE NU FÁTTE E SFASCENE N’ÀVETE
(Traduzione: Le medicine curano un male e ne creano un altro)

A Lucera non si dice “L’usuraio vive col desiderio di conservare sempre quello che ha “ma si dice
– “U VUSURARE CACHE SICCHE
(Traduzione: L’usuraio defeca secco)

A Lucera non si dice “E’ una persona veramente colta” ma si dice
– “QUILLE ÉJE NU CRESTIJANE STUDIJATE
(Traduzione: Quello è uno che ha studiato)

A Lucera non si dice “Non accampare pretesti, altrimenti ti rivolto” ma si dice
– “ND’APPEZZECANNE A’ FELÈNJE, SENNÒ TE CAPEVÓTE A SMÈRZE
(Traduzione: Non ti appendere alla fuliggine, altrimenti ti capovolgo al contrario)

A Lucera non si dice “Non peggiorare la situazione“ ma si dice
– “NEN METTÈNNE ‘A CARNE ‘NNANZE O’ CANE
(Traduzione: Non mettere carne davanti al cane)

A Lucera non si dice “I figli prendono dai genitori qualità e difetti” ma si dice
– “U VRUCCHELE È FIGGHJE D’A FRONNE
(Traduzione: Il broccolo è figlio della foglia)

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COPERTINALINO MONTANARO E LINO ZICCA, ECCO IL NUOVO LIBRO

Ci siamo! Finalmente la tipografia Grafiche Catapano ha finito di stampare il nuovo libro di Lino Montanaro & Lino Zicca: “LUCERA DI UNA VOLTA ” che raccoglie oltre 120 brani di storia sommersa relativi a modi di dire, usanze, credenze, che riguardano pratiche religiose, usanze del ciclo della vita, pratiche e forme di magia, valore e svolgimento di feste religiose e civili, metodi per prevedere il tempo durante tutto l’arco dell’anno, scuola, personaggi, luoghi, giochi ed altro della Lucera di una volta.

Com’è possibile prenotarlo?

Il libro è disponibile presso Libreria Catapano in Viale Dante Alighieri, 1 a Lucera. E’ anche possibile prenotarlo direttamente da questa pagina, inviando un’email a: montanaro.lino@libero.it

 

REGOLE DI PRONUNCIA

Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.

1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).

2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).

3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).

4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.

5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).

6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).

[LINO MONTANARO BIOGRAFIA E PUBBLICAZIONI PRECEDENTI]

 

 

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