“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 244
A Lucera non si dice “Ma perché tutto quello che faccio è vano?” ma si dice
– “E CHE AGGHJE FATTE U PANE MANGANDE A CCRISTE?” (Traduzione: Ho fatto mancare il pane a Cristo?).
A Lucera non si dice “Rivolgersi a una persona che si presenta sporca“ ma si dice
– “CHE SI JJÚTE A VVEDEGNÀ?”
(Traduzione: Che sei andato a vendemmiare)”
A Lucera non si dice “Si cerca di far dormire il bambino spaventandolo” ma si dice
– “È DORME, SENNÒ MÒ VÉNE U PAPÓNE!”
( Traduzione: Devi dormire, altrimenti arriva l’uomo nero!)”
A Lucera non si dice “È una donna molto magra, senza attrattive” ma si dice
– “ÉJE SCKITTE ‘NA SCÓPE PE SFENNELEIJÀ”
(Traduzione: È solamente una scopa lunga che si usa per togliere la fuliggine, le ragnatele)
A Lucera non si dice “Vedi tu, decidi tu, mi fido ciecamente di te” ma si dice
– “FÀ TU E FFÀ CHIJÓVE”
(Traduzione: Fai tu e fai piovere)
A Lucera non si dice “Sopporta, sopporta, ma anche le persone tranquille alle fine reagiscono “ma si dice
– “QUANNE CRISTE STACE NGROCE, SCKITTE TANNE AÈSSCE ‘A VOCE”
(Traduzione: Quando Cristo fu messo sulla croce, solo in quel momento fece sentire la sua voce)
A Lucera non si dice “Non si può sempre sperperare, ma bisogna saper risparmiare” ma si dice
– “SI PIGGHJE E NEN REFÚNNE, DOPPE NU POCHE SE VÉDE U FÚNNE”
(Traduzione: Se continui a prendere e non rimetti, dopo un po’ arriva il fondo)”
A Lucera non si dice “Non ti preoccupare, chi di dovere è stato accuratamente istruito” ma si dice
– “STATTE SPENZARATE, STACE GGIÀ PARLATE!”
(Traduzione: Stai tranquillo, si è parlato con chi di dovere)
A Lucera non si dice “Quando cammina appare rigido e legnoso “ ma si dice
– “QUILLE CAMÍNE C’U ZIPPÈRE NGÚLE”
(Traduzione: È una persona che sembra camminare con uno zipolo nel sedere)”
A Lucera non si dice “Sono costretto a fare qualcosa che non potrei permettermi di fare” ma si dice
– “MBOZZE CAMMENÀ E ÀGGHJA CORRE”
(Traduzione: Non possono camminare, ma devo correre)“
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LINO MONTANARO E LINO ZICCA, ECCO IL NUOVO LIBRO
Ci siamo! Finalmente la tipografia Grafiche Catapano ha finito di stampare il nuovo libro di Lino Montanaro & Lino Zicca: “LUCERA DI UNA VOLTA ” che raccoglie oltre 120 brani di storia sommersa relativi a modi di dire, usanze, credenze, che riguardano pratiche religiose, usanze del ciclo della vita, pratiche e forme di magia, valore e svolgimento di feste religiose e civili, metodi per prevedere il tempo durante tutto l’arco dell’anno, scuola, personaggi, luoghi, giochi ed altro della Lucera di una volta.
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Il libro è disponibile presso Libreria Catapano in Viale Dante Alighieri, 1 a Lucera. E’ anche possibile prenotarlo direttamente da questa pagina, inviando un’email a: montanaro.lino@libero.it
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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