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Dialettando 188 – Modi di dire Lucerini

Lucera, foto di Emma Grasso

Lino Montanaro“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.

DIALETTANDO 188

A Lucera non si dice “Non bisogna mai farsi ingannare dalle apparenze” ma si dice
– “NN’È TUTT’ÓRE QUILLE CHE LÚCE

A Lucera non si dice “Non si può mai essere certi di cosa ci riserva il domani“ ma si dice
– “SORTE E MMORTE STÁNNE SÈMBE ARRÈTE ‘A PORTE

A Lucera non si dice “Maledico l’anima dei parenti morti” ma si dice
– “A L’ÀNEME DE CHI STRAMÚRTE”, cui segue la risposta “A L’ÚSSE E MANNÁGGE

A Lucera non si dice “Non riesco mai a levarmelo di torno, è un continuo fastidio“ ma si dice
– “ÓRE MUMÈNDE E TÍMBE STÁCE SÈMBE A QQUÀ, ASSEMÈGGHJE ‘A MOSCHE DA VENNÉGNE

A Lucera non si dice ” Ad ascoltarlo mi viene subito il mal di testa perché parla troppo in fretta” ma si dice
– “ QUÁNNE PÁRLE ME FÁCE VENÌ CAPE E STÓMECHE, PÁRE ‘A TROZZELE GGIUVEDÌ SANDE

A Lucera non si dice ” Le tue qualità le devi dimostrare “ ma si dice
– “U MÁSTRE SE VÉDE QUÁNNE FATEGHE

A Lucera non si dice “La difficile situazione la lascia completamente indifferente” ma si dice
– “U MARÍTE NTROVE FATÍGHE E ÈSSE S’A SSCIOSSCE

A Lucera non si dice “Questo vestito già confezionato l’ho pagato poco ” ma si dice
– “ ‘STU VESTÍTE FÁTTE E BBÚNE L’AGGHJE PAGÁTE MERCÁTE

A Lucera non si dice “Quando manca l’occasione, non si commettono cattive azioni “ ma si dice
– “A NDÒ NGE STÁNNE CAPÍLLE, NGE STÁNNE MÁNGHE PEDÚCCHJE

A Lucera non si dice “Si da delle arie pur essendo una nullità “ ma si dice
– “PÁRE U CONDE SPUTACCHÍJE

 

REGOLE DI PRONUNCIA

Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.

1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).

2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).

3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).

4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.

5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).

6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).

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