“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 172
A Lucera non si dice “Finge di non capire o di non sapere qualcosa” ma si dice
– “U BBÀBBE MUSSERÚSSCE NZAPÉVE L’ARCHE I RUFFANÈLLE NDÒ ÉVE”
A Lucera non si dice “È una persona che spesso interpreta le intenzioni, le parole e le azioni degli altri come qualcosa contro di lui “ ma si dice
– “TÉNE U CÚLE CACHÉTE E SÉNDE U FÍTE”
A Lucera non si dice “Vai a dormire che hai gli occhi assonnati” ma si dice
– “VÁTTE CULECHE, CH’È FÁTTE L’ÚCCHJE PURCÍGNE”
A Lucera non si dice “Si intromette sempre arbitrariamente nei discorsi altrui“ ma si dice
– “SE N’ÈSSCE SÈMBE NZICCHETE E NZACCHETE “
A Lucera non si dice ” Non si deve gettar via nulla perché alcuni oggetti potrebbero esserti utili in futuro” ma si dice
– “STÍPE SÍRPE CHE TRUUVE ANGUÍLLE”
A Lucera non si dice ” Le effusioni amorose tra fidanzati non devono superare certi limiti “ ma si dice
– “PÌZZICHI E VÁSE NEN FÁNNE PERTÚSE, MÁNE C’ALLISSCE NEN FÁCE CRIJATÚRE”
A Lucera non si dice “Stare sempre dalla parte di chi comanda” ma si dice
– “ ‘MIDECHE, VVUCÁTE E PRIVÉTE NEN SPUTÉNE MÁJE ND’O PIÁTTE”
A Lucera non si dice “Smettila, altrimenti vengo là e te le suono di santa ragione” ma si dice
– “È MÉGGGJE C’A FENISSCE, SENNÒ VÉNGHE A LLÀ, T’ALLISSCE U PÍLE ”
A Lucera non si dice “Dai il bastone del comando ad un imbecille e ti troverai in una situazione difficile“ ma si dice
– “MÌTTE A COPPELE NGÁPE A NU FÈSSE E È PASSÁTE NU UÀJE “
A Lucera non si dice “Dopo il matrimonio preferisce la moglie alla madre“ ma si dice
– “DOPPE NZURÁTE, STÁCE APPÍSE A N’ATA PETTÉLE “
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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