“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 137
A Lucera non si dice “Chi comanda non commette mai errori” ma si dice
– “SE CÁDE U PRÉVETE SÓP’A VUTÁRE È DESGRAZZIJE, SE CÁDE U SAGRESTÁNE È MBRIÁCHE”
A Lucera non si dice “Abbiamo agito in tutta fretta” ma si dice
– “ÀMME FÁTTE FREJÈNNE MAGNANNE ”
A Lucera non si dice ” Parlare con un ignorante è perdita di tempo “ma si dice
– “QUILLE È NU CIUCCE CAVEZÁTE E VESTÚTE”
A Lucera non si dice “ A volte succede che l’aiuto arriva da un conoscente piuttosto che da un parente ” ma si dice
– “MÈGGHJE ÈSSE PARÈNDE ALLÁSCHE D’A REGGÍNE CA FRÁ¬TE CARNÁLE D’U RRÉ “
A Lucera non si dice ” Non può essere, se la cava sempre , ha fortuna in tutto quello che fa” ma si dice
– “E CHE CÁCCHJE, VÁCE SÈMBE SÓPE CÚM’E L’ÚGLJE, TÉNE ‘A FERTÚNE APPEZZECÁTE NGÚLE”
A Lucera non si dice ” Sei messo proprio male, nessuno ti aiuterà” ma si dice
– “CÚME STAJE CUMBENATE, ÀJE VOGLJE A FFÀ FUNGE”
A Lucera non si dice ” E’ una persona cortese, quieta e tranquilla” ma si dice
– “ÉJE DE CEVELÉZZE, A NDÓ ‘U MÌTTE A LLÁ U TRUUVE “
A Lucera non si dice “Sono stato colto alla sprovvista e sono rimasto sbigottito“ ma si dice
– “NDA UNU UÀ, ME SCENNÚTE U CÓRE NDE CALECÁGNE”
A Lucera non si dice “Nessuno me l’ha fatto sapere“ ma si dice
– “FOSSE VENÚTE VÚNE A DDÌ ‘STA VÍJE CE PÁSSE? “
A Lucera non si dice ” È così spaventato che parla in modo sconclusionato “ma si dice
– “U PÚJE MÈTTE ‘A VAMMÁCE MMOCCHE, PÁRLE CÚM’E NU LIBBRE STRAZZÁTE “
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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