“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 133
A Lucera non si dice “Non soltanto vuole essere aiutato, ma pretende che ci si adegui alle sue esigenze” ma si dice
– “NEN ZÚLE VÓLE ‘A FARÍNE, MA A VÁCE TRUUÁNNE FÍNE”
A Lucera non si dice “C’è mancato poco che quella cosa riuscisse ” ma si dice
– “PE NU PÚNDE S’È SCHESÚTE A SCÁRPE”
A Lucera non si dice ” Ti bastonerò il sedere a tal punto da renderlo moscio “ma si dice
– “TE FÁZZE U CÚLE FÍCHE FÍCHE”
A Lucera non si dice “Più un problema viene trascurato e più diventa difficile risolverlo ” ma si dice
– “CCHJÙ RRÈNNE CCHIÙ PPÈNNE “
A Lucera non si dice ” Si è presentato senza vergognarsi di nulla” ma si dice
– “SE NE VENÚTE CÁZZE CÁZZE PE ‘NA FÁCCE DE CÁNDRE”
A Lucera non si dice ” È una persona molto irrequieta” ma si dice
– “ASSEMÈGGHJE ‘A GALLÍNE CHE NEN POTE FFÀ L’ÓVE”
A Lucera non si dice ” In certe situazioni bisogna agire con prontezza e decisione” ma si dice
– “ ‘MBÁCCE ‘A CÁRNA TOSTE CE VÓLE ‘U CURTÍLLE CHE TÁGGHJE “
A Lucera non si dice “Ognuno ama la casa in cui abita, anche se non è il meglio“ ma si dice
– “A’ ÓGNI PASSARÌLLE PIÁCE ’U NÍDE SÚJE”
A Lucera non si dice “L’hanno colto sul fatto e per la vergogna è arrossito violentemente “ ma si dice
– “L’ÀNNE NGÚTE SÓPE FATTE E P’A VERGOGNE SE ’ FÁTTE ‘NA LÁMBE DE FÚCHE “
A Lucera non si dice ” Non è possibile seguirti, tu vai troppo di fretta!“ ma si dice
– “CCA SÌ, CCA SÌ, MA TU PÁRE A VÚNE CHE U CORRÈNE APPRÌSSE ‘I CÁNE! “
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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