“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 132
A Lucera non si dice “Non ha l’essenziale e va in cerca del superfluo” ma si dice
– “NEN TÉNE U PÁNE E S’ACCATTE U PRUVELÓNE ”
A Lucera non si dice “Non capisco! Perché continui a fissarmi?” ma si dice
– “PECCHÈ GUÁRDE, CHE TÉNGHE A FÁCCIA TÈNDE?”
A Lucera non si dice ” Dopo un evento luttuoso la vita continua“ma si dice
– “TRÈ JÚRNE SE CHJÁGNE U MÚRTE”
A Lucera non si dice “Questa biancheria è molto sporca e maleodorante ” ma si dice
– “PÁRE ‘NA PÈZZE DE CÁNDRE E FÉTE A CÁNE MÚRTE “
A Lucera non si dice ” Sei pieno di soldi. Hai fatto qualche affare poco pulito?” ma si dice
– “È VÍSTE ‘A FÁCCE U GUUVÈRNE, CHE È FÁTTE ‘A NZOGNE?”
A Lucera non si dice ” È una persona sempre sulla difensiva” ma si dice
– “ASSEMÈGGHJE ‘A GÁTTE C’U PELEMÓNE MMOCCHE”
A Lucera non si dice ” Cambia spesso opinione e mi fa solo perdere tempo!” ma si dice
– “MÒ U TÍNE E MÒ U PÍRDE, ME PORTE NGANZÓNE NGANZÓNE “
A Lucera non si dice “Non piantare grane, perché è cosa insensata e inutile“ ma si dice
– “NFACÈNNE TÁNDA STORIJE, PECCHÈ ÉJE CÚM’È U NGÌNZE O’ MÚRTE”
A Lucera non si dice “Fai le cose con molta sobrietà“ ma si dice
– “NEN FACÈNNE ASSCÌ U GRÁSSE DA FÓRE ‘A PEGNÁTE “
A Lucera non si dice ” Ho ottenuto due vantaggi con una sola azione“ ma si dice
– “AGGHJE FÁTTE NU VIÁGGE E DUJE SERVEZÍJE “
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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