“Dialettando” , la rubrica di Lino Montanaro propone tutti i giovedì proverbi e modi di dire lucerini, tramandati di generazione in generazione, per non dimenticare le origini della nostra amata Lucera.
DIALETTANDO 124
A Lucera non si dice “La situazione non è più rimediabile” ma si dice
– “STÁTTE BBÙNE QUAQUARÍLLE!”
A Lucera non si dice “E’ talmente un poveraccio che manco il Padreterno sa che esiste” ma si dice
– “CÁMBE A LA SCÚRDE DE GGESE CRÍSTE”
A Lucera non si dice ” Certe persone non hanno proprio il dono del silenzio” ma si dice
– “DUJE ANNE P’A MBARÀ A PARLÀ, CIND’ANNE P’A MBARÀ A STÁRSE CITTE ”
A Lucera non si dice “Non c’è limite ai guai, ti arrivano all’improvviso” ma si dice
– “ ‘‘A CAMMÍSA D’I UÀJE ‘NZE CHENZUME MÁJE “
A Lucera non si dice ” Spesso si interviene nelle faccende altrui non avendo la minima conoscenza di ciò di cui si vuole parlare” ma si dice
– “CHE L’ARTE DE L’AVÈTE, TUTTE SÓ MÁSTRE”
A Lucera non si dice ” È invecchiata di colpo, diventando anche fragile di memoria” ma si dice
– “PÁRE ‘NA VÉCCHJE DE SETTECINDANNE, CÁNDE E SE NE SCORDE”
A Lucera non si dice ” Ha un aspetto pietoso” ma si dice
– “PÁRE U PEZZÈNDE A’ MADÒNNE D’I NGURNÁTE “
A Lucera non si dice “Voi lo considerate un fessacchiotto, ma quello sa vita morte e miracoli di tutti “ ma si dice
– “PARÈBBÙNE CH’ÉJE ‘NU FÈSSE, MA QUILLE VE CONDE I PÍLE ‘NGÚLE!”
A Lucera non si dice “Cosa ti stai inventando? Sbraita pure, tanto nessuno ti ascolta!“ ma si dice
– “TU SUNNE E PISSCE U LÍTTE, CÁNDE PÚRE CA TE FÁJE CANONECHE! “
A Lucera non si dice ” All’improvviso si sono verificate due circostanze negative “ ma si dice
– “ ‘MBRILLE E ‘MBRISTE, SE SÒ CCUCCHJÁTE SCÚRDEJE E MALETÍMBE “
REGOLE DI PRONUNCIA
Il dialetto lucerino, come del resto ogni dialetto, ha le sue ben precise e non sempre semplici regole di pronuncia. Tutto questo, però, genera inevitabilmente l’esigenza di rispettare queste regole non solo nel parlare, ma anche e soprattutto nello scrivere in dialetto lucerino. Considerato che il fine di questa rubrica è proprio quello di tener vivo e diffondere il nostro dialetto, offrendo così a tutti, lucerini e non, la possibilità di avvicinarvisi e comprenderlo quanto più possibile, si ritiene di fare cosa giusta nel riepilogare brevemente alcune regole semplici ma essenziali di pronuncia, e quindi di scrittura dialettale, suggerite dall’amico Massimiliano Monaco.
1) La vocale “e” senza accento è sempre muta e pertanto non si pronuncia (spandecà), tranne quando funge da congiunzione o particella pronominale (e, che); negli altri casi, ossia quando la si deve pronunciare, essa è infatti sempre accentata (sciulutèzze, ‘a strètte de Ciacianèlle).
2) L’accento grave sulle vocali “à, è, ì, ò, ù” va letto con un suono aperto (àreve, èreve, jìneme, sòrete, basciù), mentre l’accento acuto “á, é, í, ó, ú” è utilizzato per contraddistinguere le moltissime vocali che nella nostra lingua dialettale hanno un suono molto chiuso (‘a cucchiáre, ‘a néve, u rebbullíte, u vóve, síme júte), e che tuttavia non vanno confuse con una e muta (u delóre, u veléne, ‘u sapéve, Lucére).
3) Il trigramma “sck” richiede la pronuncia alla napoletana (‘a sckafaróje, ‘a sckanáte).
4) Per quanto riguarda le consonanti di natura affine “c-g, d-t, p-b, s-z” è stata adottata la grafia più vicina alla pronuncia popolare (Andonije, Cungètte, zumbà) quella, per intenderci, punibile con la matita blu nei compiti in classe.
5) Per rafforzare il suono iniziale di alcuni termini, si rende necessario raddoppiare la consonante iniziale (pe bbèlle vedè, a bbune-a bbune, nn’è cósa túje) o, nel caso di vocale iniziale, accentarla (àcede, ùcchije).
6) Infine, la caduta di una consonante o di una vocale viene sempre indicata da un apostrofo (Antonietta: ‘Ndunètte; l’orologio a pendolo: ‘a ‘llorge; nel vicolo: ‘nda strètte).
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