La nuova rubrica sulle bellezze artistiche della nostra città di Lucera a cura di Annarita e Gianni Mentana verterà sull’analisi delle opere figurative affisse nelle nostre magnifiche chiese, concentrandosi, in particolare, sugli esempi di arte pittorica e prendendo in esame un dipinto alla volta.
Abbiamo pensato di far cadere la prima scelta a una delle rappresentazioni più apprezzabili del nostro patrimonio artistico.
Francesco De Mura
La Madonna Addolorata
Tralasciamo la storia e l’architettura della chiesa che sono sicuramente state trattate in altre sedi, per focalizzare l’attenzione sull’autore e sull’opera: per quanto riguarda la biografia dell’artista, Francesco De Mura, bisogna ricordare che fu un pittore eccelso, nato a Scala (Salerno) il 21 aprile 1696 e morto a Napoli il 19 agosto 1782. Fu allievo prediletto del grande pittore Francesco Solimena, nella cui bottega lavorerà per oltre 20 anni, sebbene, con il tempo, svilupperà un percorso pittorico più personale, forse anche influenzato da altri correnti in voga in quegli anni a Napoli.
La sua produzione artistica è esposta nei musei di tutto il mondo, ma soprattutto nella zona borbonica. Tra le sue opere e collaborazioni sono degni di nota: i bozzetti inviati nel 1738 a Madrid alla regina madre Elisabetta Farnese, firmandoli e datandoli; i bozzetti oggi visibili nella Granja de Segovia e nel palazzo reale di Madrid, e l’affresco dipinto per il palazzo reale di Napoli (Allegoria delle virtù di Carlo di Borbone e Maria Amalia). Tra il 1738 e il 1741 lavorò incessantemente per ordine del re di Sardegna a Torino, dove gli vennero commissionate tre sezioni all’interno della cosiddetta <sala delle macchine>, nel palazzo reale, che egli adornò con tematiche mitologiche, quali le Storie di Teseo.
Il nostro autore è stato, insieme ai più noti Francesco Solimena e Luca Giordano, uno dei più influenti esponenti della scuola napoletana, sorta appunto intorno al 1700, che successivamente prenderà il nome di Rococò napoletano.
Il rococò, nato in Francia, ebbe origine nelle arti decorative, ma presto attecchì anche nella pittura. I pittori afferenti a questo stile, usarono colori cangianti e forme curve, arricchendo le loro tele con cherubini e soggetti classici, oltre a un rinnovato interesse per la ritrattistica. Gli sfondi delle tele erano arcadici, riprodotti con dovizia di particolari e straordinaria fedeltà a luoghi e panorami reali. Talvolta, a questi ultimi erano preferite le scene galanti, in cui la figura umana fungeva da protagonista. Tuttavia, la caratteristica principale che accomunava l’attività creativa di questi autori era un effetto velato, quasi onirico, che ricopriva sempre la scena, creando una delicatezza e dolcezza che si contrapponeva spesso a situazioni drammatiche e patetiche, come nel caso di seguito.
Questo grandioso quadro, eseguito nel 1759, misura 3,50 m x 2,00 m e lo possiamo ammirare nella bellissima chiesa di San Matteo al Carmine di Lucera. L’argomento è biblico-religioso, in quanto rappresenta Maria che, con atteggiamento languido, si abbandona, sofferente e affaticata, tra le braccia degli angeli, mentre una spada le trafigge il petto. Molto probabilmente il momento impresso è quello immediatamente successivo alla deposizione di Cristo: lo si deduce dalla presenza dei simboli della passione, quali la corona di spine, il manto rosso, i chiodi, il sepolcro ancora aperto e ovviamente la croce. Il graduale schiarimento della tavolozza fa risaltare l’azione della caduta di Maria che appare luminosa, nonostante il viso livido e smunto, provato dal troppo dolore; si rivela estremamente umana nella sua santità, testimoniata dalla luce divina. Sullo sfondo, in penombra, alcuni putti, appena accennati dentro i contorni, si muovono concitati e osservano stupiti la croce vuota, distratti dal fulcro dell’azione. Gli occhi sono catturati dai colori tenui e morbidi, stesi con estrema maestria, che si attenuano nel chiaroscuro dell’ondulatura delle vesti. Nell’intimità complessiva della scena, lo spettatore viene coinvolto e attirato, ma continuerà a essere un intruso.
Infine, un’ultima importante menzione al bellissimo altare, nella quale è incastonata la nostra tela, fatto dal famoso marmorario Michele Salemme, anch’egli napoletano, scolpito nel medesimo anno (vd. foto) e finanziato dalla famiglia Scassa. Inoltre, in loco, si può ammirare un altro altare di sua fattura, commissionato dalla famiglia Lombardi, sottostante il dipinto di Santa Teresa d’Avila. Lo stesso Salemme ha realizzato i due capitelli del portale del palazzo Lombardi in piazza Duomo (1777).
(Le foto qui riportate sono state scattate dagli scriventi)
Annarita e Gianni Mentana