TRA STORIA E LEGGENDA
L’olivo è una pianta presente nelle tradizioni e nella cultura dei popoli e fin dall’antichità ha rappresentato un simbolo di pace e di prosperità. La sua zona di origine si ritiene sia quella sud caucasica (12.000 a.C.) sebbene molti la considerino una pianta prettamente mediterranea. L’ulivo era già noto a Ebrei, Fenici ed Egizi per le sue molte virtù; i Greci lo trapiantarono nelle colonie della Magna Grecia e i romani in altri territori del loro Impero. Il suo derivato, l’olio, detto anche oro liquido, ha molteplici proprietà sia alimentari sia medicinali, tanto che anticamente lo si riteneva di origine divina. Infatti in un racconto mitologico si narra che Zeus per porre fine a una disputa tra Poseidone (Dio del mare) e Atena (Dea della saggezza), decise che il vincitore sarebbe stato chi gli avrebbe presentato il regalo più utile. Alla fine Zeus diede la vittoria di Athna che creò l’albero dell’ulivo, mentre Poseidone gli donò dei cavalli marini.
COLTIVAZIONE DELL’OLIVO E RACCOLTA DELLE OLIVE A LUCERA
La coltivazione dell’olivo in provincia di Foggia risale certamente ad epoche molto lontane; infatti già lo coltivavano gli Antichi Romani, comprendendo la straordinaria vocazione di alcune zone del territorio della Daunia. Ma lo sviluppo della sua coltivazione si verificò in età Angioina, per poi consolidarsi in quella Aragonese, mentre la maggiore diffusione si ebbe nel XVII secolo, quando si potevano contare già migliaia di ettari, tutti in coltura specializzata. Ancora oggi, la Daunia , è caratterizzata dalla presenza di ulivi centenari e millenari, testimoni delle varie culture antiche che si sono succedute, inimitabili monumenti forgiati dal tempo. L’ulivo è pianta tipica anche delle contrade di Lucera , quasi un simbolo di benessere e ricchezza della storia millenaria di questa terra, protagonista indiscusso del paesaggio, della cultura, delle tradizioni e dell’economia. La proprietà degli oliveti in passato era nella mani di poche famiglie latifondiste mentre poche proprietà erano nelle mani di piccoli coltivatori. La raccolta delle olive veniva ed è eseguita nel momento in cui il frutto ha raggiunto la sua crescita e una buona maturazione; generalmente il mese di ottobre per le olive da tavola e novembre per le altre. La raccolta, la macinazione delle olive e la produzione dell’olio presso i tanti frantoi era un vero rituale che si rinnovava continuamente ogni anno. In passato, la raccolta delle olive nei grossi latifondi era fatta prevalentemente da squadre di raccoglitrici che venivano ospitate per il periodo della raccolta in locali di campagna messi a disposizione dal proprietario dell’oliveto, sotto l’occhio attento del curatolo e dei sorveglianti. Presso i piccoli proprietari la raccolta coinvolgeva tutta la famiglia . Erano impegnati anche i nonni, i cugini, gli zii, le zie; ognuno aveva un ruolo, persino i bambini. Tra i giovani prevalevano gli scherzi e le sfide a chi riempiva la cesta prima degli altri. La raccolta delle olive era anche un modo di ritrovarsi tutti insieme nei momenti di punta dei lavori di raccolta dei prodotti della terra. La raccolta era eseguita con una serie di attività: sotto l’albero venivano posti dei teli (rachene), in seguito con dei bastoni si battevano i rami o con appositi rastrelli si operava per far cadere le olive, mentre quelle che restavano attaccate alla pianta erano raccolte a mano, in piedi o sulle scale. Le olive, quando i panieri diventavano pieni, erano versate in appositi sacchi. A sera, i sacchi pieni di olive erano caricati sui carretti “trajine” e trasportati al frantoio “u trappete“. I sacchi erano svuotati e le olive erano ammassate in spazi dedicati, poi selezionate e versate nella vasca della macina. I tradizionali frantoi, fino a non tanti anni fa, erano, infatti, costituiti da una vasca circolare nella quale venivano versate le olive e macinate da una a tre grosse ruote di pietra poste al centro della stessa vasca. C’era un mulo, che girava in tondo con una stanga sul collo, che faceva roteare le macine circolari di pietra di granito, dette “molazze” le quali schiacciavano le olive. L’olio contenuto nelle olive veniva estratto mediante un procedimento che comprendeva alcune fasi di lavorazione: frangitura, rottura dei frutti; gramolatura, rimescolamento della pasta espremitura; estrazione dell’olio mediante prelievo o pressione; separazione dell’olio dall’acqua di vegetazione e dalle particelle di polpa contenute nel frutto. L’olio così ottenuto poi era accuratamente conservato nei tini. Non si buttava niente: i noccioli frantumati delle olive, la parte solida della lavorazione per la produzione dell’olio, era accantonata e poi usato come combustibile, anche nei forni per il pane. Negli ultimi tempi, per la raccolta delle olive, i bastoni sono stati sostituiti da appositi rastrelli con funzionamento a stantuffo e i sacchi da grandi casse di plastica; mentre i trappeti sono provvisti d’impianti che hanno eliminato molta attività manuale e, la produzione dell’olio, pur nel rispetto delle varie fasi, avviene meccanicamente.
OLIVE VERDI ED OLIVE NERE
Anche l’olivicoltura da tavola vanta a Lucera tradizioni secolari e le olive verdi e nere erano e sono un pezzo della storia e della cultura culinaria lucerina. La raccolta avveniva per le prime, prima che il frutto raggiungesse la maturazione, mentre le seconde erano raccolte solo quando giungevano a completa maturazione. Diversamente dagli altri frutti, le olive non possono essere mangiate appena raccolte a causa della loro eccessiva amarezza. Per le olive verdi fino a pochi anni fa, e ancora oggi nelle lavorazioni casalinghe, la deamarizzazione veniva ottenuta con l’ausilio di una soluzione di soda caustica e conservate in salamoia in recipienti di creta. Le olive nere, invece, dopo la raccolta , per conservarle a lungo, si facevano dapprima appassire al sole, dopo si lavavano e poi, sistemate in un vaso di creta, si condivano con sale fino ed aglio.
Oggi nella provincia di Foggia la coltivazione dell’olivo interessa il 10% della superficie agricola, valore che può apparire limitato in termini relativi, ma considerevole in termini assoluti poiché rappresenta circa 50 mila ettari (pari al 15% di quella regionale). La coltivazione coinvolge circa 34mila aziende, di cui poco meno di 15mila specializzate, con metodologie di raccolta e di produzione dell’olio ultramoderne. Chissà se gli Antichi Romani avrebbero mai anche lontanamente immaginato che nel mondo globalizzato di oggi, le olive da mangiare e l’olio extra vergine d’oliva, discendente dell’Oleum ex albis ulivis o dell’Oleum viride, sarebbero stati quotidianamente presenti, quale componenti essenziali, sulla tavola e nella tradizione culinaria di ogni famiglia italiana, in una cucina che è divenuta particolarmente ricca e variegata grazie agli apporti di tradizioni culturali diverse, dalla greca all’etrusca, dalla romana a quella araba.
PROVERBI E ANTICHI DETTI IN LUCERINO
‘A PRIME VULIVE ÉJE D’ÓRE…’A SECONDE ÉJE D’ARGÌNDE….’A TÈRZE NEN VALE NINDE (E’ un monito per la valutazione dei tempi giusti per la raccolta) ;
VULIVE VERMENÚSE…..ÚGLIE UGLIÚSE (Quando le olive sono caratterizzate da difetto di verme, presentano un sensibile peggioramento della qualità dell’olio estratto) ;
QUANNE L’ÀREVE CACCE ‘I FIÙRE A ABBRILE….’I VULIVE I CUGGHJE A VARRILE (Quando l’ulivo fiorisce in aprile, le olive si raccolgono in abbondanza) ;
ÚGLJE ANNE PE ANNE …E ‘U VINE TU VIVE DOPE DE N’ANNE (A differenza del vino, le qualità dell’olio si attenuano con il passare del tempo e con la conservazione) ;
ÚGLJE AMARE …..TÌNELE SÈMBE CARE CARE (L’amaro è uno degli attributi positivi di un buon olio di oliva extravergine)
QUANNE SE ROMBE ‘NA BBUTTIGLJE D’ÚGLJE ÉJE SÈMBE ‘NA GRANNE DESGRAZZEJE (L’olio è sempre stato un prodotto molto costoso per le famiglie che avevano pochissimi soldi per campare, da usare con parsimonia, allora quando si rompeva una bottiglia d’olio era una vera disgrazia) ;
JANGHE SONGHE E NNÉRVE ME FAZZE…..CADE NDÈRRE E NEN MME SFAZZE….P’A MIJA GGENDELÈZZE….FAZZE LUCE ‘O MIJE PALAZZE (Indovinello sull’oliva).
I detti dal 4° al 7°sono una mia libera traduzione dal “DIZIONARIO DEL DIALETTO DI LUCERA” di Dionisio Morlacco “
AREVE DE VULEVE
Non poteva mancare una delle canzoni simbolo di Lucera, “AREVE DE VULEVE” di Sandro Apollo. Una storia d’amore nata durante la raccolta delle olive contenuta nel disco “Terra arret”. Testo e musica: Sandro Apollo; arrangiamenti Unza Unza Band.
FOTO ULIVETI LUCERINI
I seguenti scatti sono di Leonardo Del Gaudio, che ringraziamo per il prezioso contributo.